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THE QUEER ARAB GLOSSARY: lo slang arabo che definisce le identità

words: Alessandro Milzoni

21.11

THE QUEER ARAB GLOSSARY: lo slang arabo che definisce le identità

THE QUEER ARAB GLOSSARY: lo slang arabo che definisce le identità

Marwan Kaabour raccoglie lo slang del mondo queer arabo in un glossario kinky che può ufficialmente entrare nella biblioteca di Horny Jail. La queerness araba non è una segreta imitazione dell’Occidente. Anzi, è sempre esistita.

Nella review redatta da Pornhub del 2022 troviamo il trionfante ingresso del primo paese arabo nella lista dei Top 20 Countries per traffico nella piattaforma, posizione che ha mantenuto anche nel 2023. Non proprio la prima cosa che ti aspetti da un paese che, per tradizione, ha un rapporto con la sessualità non così sereno.

Eppure, nel sottobosco culturale dei paesi arabi, si nasconde – nemmeno così in profondità – un intricato sistema di identità, definizioni, riferimenti e, addirittura, creature mitologiche.

Anzi, oggigiorno alcune regioni arabe hanno in parte abbattuto le barriere discriminatorie verso l’autodeterminazione sessuale, preferendo l’espressione (seppur contenuta) della propria identità. Le persone queer, certo, non possono indossare plug anali con coda di unicorno sotto al jockstrap di Calvin Klein per andare a fare le commissioni in centro, ma di sicuro, alcune caratteristiche fisiche o estetiche sono ben sottolineate per affermare la propria personalità.

Se solo esistesse un termine per definire coloro che esprimono la propria identità attraverso un look non convenzionale…oh! Ma esiste ed è Khintā, una parola del dialetto egiziano usata all’interno della comunità LGBTQ+. O Marin nei dialetti del Golfo. O Hīz nel dialetto iracheno. O Māyi’ in siriano.

È proprio da qui che parte il lavoro di Marwan Kaabour – graphic designer, artista e scrittore di Beirut appassionato di linguistica – quando aprì il suo profilo Instagram, Takweer, nel 2019, in cui postava e raccoglieva elementi della cultura queer araba. Da allora, Marwan ha creato una vera e propria community, in cui persone delle regioni arabe condividevano il proprio modo dialettale di definire ruoli, persone, pratiche, identità, fenomeni che nel vocabolario comune (o concesso) non avevano definizione. Per la stesura di un libro, il passo è stato veramente breve. Nasce così nel 2024 “The Queer Arab Glossary” in cui Marwan ha messo su carta un nuovo vocabolario per nominare tutto ciò che prima era detto a labbra socchiuse tra i membri della comunità.

Il progetto editoriale di Marwan – che lui stesso definisce «collettivo» proprio perché composto dalle testimonianze di moltissimi individui – non è solo un ironico e pittoresco dizionario di slang delle varie regioni arabofoniche, ma contiene anche le poeticamente-spudorate illustrazioni di Haitham Haddad che mostrano, in modo letterale e ironico le parole più emblematiche del glossario, dai piccioni fallici ai sexy scorpioni a caccia di una preda maschile.

La rappresentazione del binomio queer-arabo è un lavoro che coinvolge moltissimi artisti visivi (oltre che letterari) come l’iraniano Alireza Shojaian o il marocchino Soufiane Ababri o ancora il palestinese Ridikkuluz. Attraverso l’illustrazione, la pittura, la fotografia una new wave di artisti multidisciplinari sta cercando di legittimare la comunità queer, affermandone l’esistenza. Immagini toccanti, contenenti una grande visione creativa e un pizzico di malinconia, che riescono ad evocare un senso di rivendicazione personale e speranza verso il futuro.

«Esiste una narrazione occidentale per cui le parole ‘arabo’ e ‘queer’ non possono stare assieme. Grazie a questo lavoro di ricerca e condivisione, ho raccolto parole che, oltre a definire il mondo queer, raccontano anche la cultura e la società delle regioni arabe. La comunità LGBTQIA+ ha la propria voce, così come ha le proprie sfide, così come di sicuro ha ancora tanta strada da fare, ma siamo fieri di essere queer e siamo fieri di essere arabi»

L’approccio nella composizione di questo dizionario non poteva che riflettere la personalità fantasiosa del suo autore: ogni definizione contiene un immaginario, talvolta discriminatorio talvolta divertente. Ma proprio qui sta il bello della lingua, il potente strumento di difesa e affermazione, che evolve con la società.

«Decidiamo noi il significato delle parole» afferma Marwan, sottintendendo che talvolta le definizioni sociali vanno di pari passo con la società stessa e il significato inizialmente discriminatorio e doloroso di alcune può perdere valore con il tempo ma soprattutto con l’abbattimento di certi stereotipi e pregiudizi.

Mi fa l’esempio di una parola che ama molto, Qāyiso-l-mā’, che letteralmente significa “toccato dall’acqua”. Originariamente, questo termine prendeva in giro le movenze di alcuni omosessuali un po’ più flamboyant o dalla camminata baldanzosa, che sembrava appunto fluida come l’acqua. Col tempo Qāyiso-l-mā’ ha perso quella volontà di ironizzare sulle camminate sfiancate, ma ha iniziato ad avere un significato più poetico, come “battezato dall’acqua gay”.

Quindi credo di potermi definire Qāyiso-l-mā’.

La sua gioventù libera e spensierata, vissuta a Beirut, ha permesso a Marwan di essere sempre confident con la propria sessualità e con il rapporto all’interno della società libenese che, contrariamente alla narrazione occidentale, così tanto discriminatoria non è. Anzi, continua «Quando avevo 17-18 anni è stato davvero divertente. Il bello è che tutto il mondo queer a Beirut è underground – tra club sotterranei, home party e feste private – tutto era più eccitante. La possibilità di vivere la mia sessualità e la mia identità liberamente mi ha reso felice». Ma Marwan è consapevole: «Certo, gli omosessuali non possono esserlo in pubblico, non possiamo sposarci e non possiamo fare il Pride. Ma abbiamo trovato un modo per convivere con la nostra società. Non è detto che vada bene così. Non è detto che è fatta. Ma lasciamo il tempo alla comunità araba di elaborare il cambiamento».

E il cambiamento in effetti è già in corso. Oltre alla nuova generazione di artisti visivi e multidisciplinari, “The Queer Arab Glossary” è la prova che il cambiamento arriva proprio dalla società. Il lavoro collettivo di raccolta, catalogazione etimologica e traduzione racconta la storia di migliaia di persone queer sparse nelle regioni arabe che cercano una voce. L’inevitabile solitudine che si prova dentro a una società che spesso e volentieri discrimina e reprime ogni forma di espressione di identità sessuale (che non sia quella convenzionale) si esorcizza sapendo che anche a centinaia di chilometri ci sono altri individui come te. Ed è questo il senso della comunità nel 2024.

Il bello è scoprire che ci sono altri modi, dialetti, parole per connotare lo stesso concetto. Come Shawwāya – altra parole preferita da Marwan – che letteralmente significa “griglia da barbecue”, ma serve a identificare un ragazzo gay versatile che, come la griglia sul barbecue, ha bisogno di essere capovolto.

Ecco, credo di potermi definire anche Shawwāya.

Pictures by Thomas Razzano, courtesy MBQMQB e Fondazione Sozzani.

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