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Art,Music

IN FOCUS: NEXTONES | NJIN | Cosimo Damiano, Domenico Romeo & Lara Damaso

words: Tatiana Tardio

23.08

IN FOCUS: NEXTONES | NJIN | Cosimo Damiano, Domenico Romeo & Lara Damaso

IN FOCUS: NEXTONES | NJIN | Cosimo Damiano, Domenico Romeo & Lara Damaso

Nel cuore del processo creativo, la teatralità della fusione tra musica, arte e performance emerge con una potenza sorprendente. La collaborazione tra Cosimo Damiano e Domenico Romeo per la performance NIJN, arricchita dalla presenza scenica di Lara Damaso, ci mostra come l’interazione tra questi elementi possa dar vita a qualcosa di unico e profondo. Questo spettacolo, perfettamente inserito nel suggestivo contesto del teatro Tones Natura con la curatela di Ruggero Pietromarchi, sfrutta appieno le potenzialità di questo luogo.

La teatralità dell’arte contemporanea si manifesta in NIJN attraverso l’uso dinamico della musica di Cosimo Damiano e dell’arte visiva di Domenico Romeo, creando un dialogo che coinvolge lo spettatore su diversi livelli sensoriali. La musica diventa un vero e proprio personaggio, interagendo con le luci e i movimenti scenici per costruire un racconto stratificato.

Il concept iniziale, nato per Nextones, si è evoluto in una narrazione che abbraccia la fluidità del tempo e la costanza dello spazio. La roccia, simbolo di continuità, e il suono, che attraversa ere diverse, invitano a riflettere su come il contesto influisca sulla nostra percezione artistica. Le creature animate e i materiali simbolici rappresentano vita e trasformazione, orchestrati in modo da interagire con la musica e con il movimento, creando un racconto che si sviluppa nello spazio e nel tempo.

La presenza di Lara Dâmaso aggiunge un’ulteriore dimensione alla teatralità della performance, fungendo da mediatrice tra gli elementi sonori e visivi, creando una connessione emotiva con il pubblico. La simbiosi tra spazio e tempo non è solo una cornice, ma il cuore della performance stessa, trasformando ogni luogo e momento in un’occasione per arricchire la comprensione dell’arte e dell’esistenza.

T: Parliamo del processo creativo dietro la vostra performance. Come è nata l’idea iniziale e come si è evoluta nel tempo?

Cosimo Damiano: L’idea è partita da Ruggero, direttore artistico di Nextones, che ci ha proposto di collaborare. Inizialmente, la performance era specifica per il festival, ma abbiamo deciso di continuare perché il lavoro procedeva bene e in maniera costruttiva, sia per me che per Domenico. Entrambi avevamo una predisposizione simile a confrontarci e a scoprire le idee dell’altro. Il nome della performance, NIJN, alimenta il mistero in quanto incerta è la sua proveninza e quindi la destinazione.

Abbiamo iniziato incontrandoci a Roma un paio di volte per discutere le idee in generale. Poi, ognuno ha preso il suo tempo per far sì che potessero maturare, perché spesso queste si sviluppano nei momenti più impensati. Dopo questo periodo di gestazione, ci siamo ritrovati per strutturare tutto insieme.

Il suono è stato sviluppato partendo da alcuni pezzi che avevo già arrangiato, e ne ho creati di nuovi. Abbiamo condiviso idee e impressioni, sviluppando una narrazione comune. Ci siamo confrontati molto, scambiandoci idee fino a trovare una struttura coerente. Un elemento chiave della performance sono i tubi corrugati, usati nella musica classica contemporanea. Abbiamo integrato questi strumenti in un contesto narrativo, dando loro una nuova dimensione. Le creature, costruite da Domenico, sono state attivate dalla terra con l’aiuto di Lara, che ha dato loro vita durante la performance. La sua parte vocale è più un’evocazione di queste creature, è una sorta di invocazione.

La struttura della performance è stata divisa in atti, dettagliata e calcolata al secondo, con spazi di libertà per poter improvvisare. Abbiamo coinvolto Lara in modo coerente con la narrazione. La performance è modulabile e può includere nuovi interventi, adattandosi allo spazio e alle circostanze.

È importante considerare lo spazio come un vantaggio e non come un limite. Ogni volta che portiamo la performance in un nuovo contesto, la modifichiamo per adattarla e mantenerla coerente con la narrazione originale ma lasciando spazio per l’evoluzione e l’innovazione.

T: Lo spazio ha sicuramente un’influenza significativa sulla performance. Ad esempio, come hai interpretato l’ambiente di Nextones, in particolare la roccia, e come ha influenzato il tuo approccio al suono?

Cosimo Damiano: La roccia è stata un elemento fondamentale per me. Nella performance, cerco sempre di creare passaggi temporali attraverso il suono, utilizzando diverse tecniche e sonorità per percorrere ere differenti. Nonostante questa trasversalità temporale, la roccia rappresenta l’unico elemento che rimane costante attraverso le epoche. Questo contrasto è molto affascinante.

T: Sì, la roccia cambia forma, si erode, ma resta lì.

Cosimo Damiano: Esatto. C’è un momento nel live che è molto distruttivo, insieme ad altri momenti che raccontano una sorta di fiaba o che sono più viscerali. Tuttavia, la roccia è l’unica cosa che resta immutata. Questo suo elemento immutabile è ciò che, secondo me, dà un significato profondo allo spazio e alla performance stessa.

T: Quindi lo spazio non è solo un contesto fisico, ma diventa parte integrante della narrazione e della musica?

Cosimo Damiano: Assolutamente. Lo spazio e la sua interazione con gli elementi performativi sono cruciali. La roccia, ad esempio, non è solo un fondale, ma un simbolo di continuità e stabilità in mezzo alla trasversalità temporale del suono. Questa simbiosi tra spazio e suono arricchisce l’esperienza della performance e le conferisce una dimensione più profonda.

T: Potresti descrivere nel dettaglio come hai concepito e realizzato la distruzione a livello di installazione, includendo una spiegazione approfondita sui materiali specifici che hai scelto? Inoltre, potresti spiegare il significato simbolico dietro queste scelte e come questi materiali si integrano nella tua visione artistica?

Domenico Romeo: La distruzione nell’installazione è stata concepita come un processo di trasformazione e di rinnovamento, non solo fisico ma anche concettuale. Ho utilizzato materiali che incarnano la dualità tra fragilità e resistenza. La gomma tubolare, per esempio, è stata scelta per rappresentare vasi sanguigni e canali conduttori; essa simboleggia la vita che scorre e la connessione tra le diverse parti dell’installazione. La sua flessibilità e resistenza permettono di modellare la struttura in modo organico, evocativo del corpo umano e dei suoi sistemi interni.

Il nylon riflettente, utilizzato per la “pelle” dell’installazione, è un materiale tecnico che riflette la luce e respinge l’acqua. Questa scelta è stata dettata dal desiderio di esplorare temi di adattabilità e protezione, riflettendo metaforicamente su come noi, da esseri umani, ci proteggiamo e ci adattiamo alle circostanze esterne. Il nylon, con la sua capacità di riflettere la luce, porta anche una dimensione visiva impressionante all’opera, creando giochi di luce che cambiano a seconda della prospettiva dell’osservatore.

Per le strutture in metallo, ho optato per il ferro grezzo tagliato in forma modulare. Queste parti rappresentano la struttura ossea dell’installazione, simbolo di sostegno e resistenza. I pali verticali e orizzontali, tagliati sempre con le stesse dimensioni, contribuiscono a un senso di uniformità e coerenza, elementi fondamentali del mio approccio artistico. Il sistema modulare permette una costruzione che può essere continuamente ampliata o modificata, simboleggiando la crescita e l’evoluzione continua.

In ogni performance o mostra aggiungo nuovi elementi o giunti al sistema, come il giunto carrucola nella recente installazione, che ha permesso di aggiungere e poi rimuovere parti della “pelle”, mostrando così un ciclo di rinascita continua che è centrale nel mio lavoro artistico. Questi giunti non solo mantengono l’integrità strutturale dell’opera ma permettono anche una sua reinterpretazione e riadattamento continuo, riflettendo il mio interesse per le dinamiche di trasformazione e rinnovamento.

T: Potresti descrivere nel dettaglio il processo di esplorazione e di adattamento dello spazio per la tua installazione e come questo ha influenzato le modifiche e l’evoluzione del concept fino all’ultimo giorno?

Domenico Romeo: Il processo di esplorazione dello spazio per la mia installazione è stato intensamente iterativo e personale. Ho iniziato con un sopralluogo emotivo, nel quale mi sono immerso nello spazio senza un piano preciso, permettendo al luogo di parlarmi e di guidare le mie prime impressioni. Questo momento iniziale è cruciale perché mi permette di captare l’essenza dello spazio, sentire le sue vibrazioni e immaginare come le mie opere potrebbero interagire con esso. Dopodiché, ho condotto un secondo sopralluogo più tecnico, dove ho preso misure precise e ho iniziato a schizzare i primi layout del concept, che poi ho continuato a sviluppare e ad affinare con il mio collaboratore, Damiano, fino all’ultimo giorno.

L’interazione con la mia “famiglia” estesa è stata fondamentale nel processo creativo. Spesso, le nostre discussioni e il nostro vivere quotidiano hanno influenzato direttamente l’evoluzione dell’installazione. In una di queste riunioni conviviali, l’idea di coinvolgere la comunità in modo più attivo è emersa quasi spontaneamente; questo ha arricchito il progetto, portando nuove prospettive ed energie che hanno definitivamente plasmato l’opera finale.

Durante l’evento, il nostro obiettivo era quello di evocare un’esperienza immersiva e multi-sensoriale nel pubblico. Ci aspettavamo che la gente interagisse con l’installazione in modi diversi, vivendo l’ambiente in maniera personale e unica. Volevamo che ogni persona nel Teatro si sentisse parte dell’opera, sperimentando un coinvolgimento diretto che sfidasse la loro percezione dello spazio e del suono. Questa interazione dinamica è essenziale nel mio lavoro: cerco di creare spazi che non sono solo da guardare, ma da vivere, lasciando che il pubblico scelga come navigare e interpretare l’esperienza.

T: Potresti descrivere nel dettaglio come hai vissuto la performance, considerando il tuo recente inserimento nel progetto, e come hai sperimentato la connessione con gli altri attraverso la voce e i movimenti?

Lara Dâmaso: La mia esperienza nella performance è stata profondamente coinvolgente e arricchente. Sono entrata nel progetto piuttosto tardi, su invito di Domenico, che mi chiese di unirmi a loro circa un mese e mezzo per avviare una collaborazione con Damiano. Questo mi ha dato l’opportunità di immergermi in un ambiente già formato, dove la dinamica di gruppo era orientata verso la collaborazione. Nonostante il mio inserimento sia stato più recente, mi è stata affidata una posizione di supporto, il che era nuovo per me. Di solito, tendo ad avere ruoli più centrali, ma qui il mio compito era di integrarmi e di connettermi attraverso la voce e i movimenti, senza dominare la scena.

Questa posizione mi ha permesso di osservare e di meditare profondamente sulle dinamiche del gruppo e sul flusso dell’energia tra noi. Mi sentivo come un mediatore tra gli artisti e l’opera stessa, ma anche come un custode, quasi materno, che contribuisce a mantenere l’armonia e l’equilibrio nel gruppo. Questo ruolo mi ha dato una prospettiva unica e preziosa sul progetto. Riuscire a tessere insieme questi vari aspetti in un momento così eclettico e precisamente calibrato è stata una sfida che ho trovato incredibilmente gratificante. La mia posizione di osservatore attivo mi ha anche permesso di capire l’importanza della mia presenza, non solo come artista ma anche come congiunzione vitale di energie diverse, arricchendo così l’esperienza collettiva. In definitiva, la mia integrazione nel progetto, seppur tardiva, si è rivelata fondamentale, portando una nuova dimensione alla performance.

T: Quindi vi siete affidati molto gli uni agli altri?

Domenico Romeo: Sì, la fiducia è stata fondamentale. Abbiamo dedicato molto tempo a concepire e a provare questa performance, quindi è chiaro che senza fiducia reciproca non avremmo potuto procedere. Quando qualcosa non funzionava come pianificato, sapevamo tutti come adattarci e gestire l’imprevisto: una capacità essenziale dato che non è possibile testare ogni aspetto della performance all’infinito.

Cosimo Damiano: Infatti, credo che non sia nemmeno necessario che tutto vada sempre secondo i piani, soprattutto in quei lavori che includono scenografie e la possibilità di apportare modifiche. C’è sempre qualcosa che può cambiare…

Domenico Romeo: Esattamente, il bello sta nel poter adattare e modificare sul momento. Personalmente, ho intrapreso azioni che non avevo nemmeno considerato prima della performance, trovandomi a rispondere in modi nuovi e inaspettati. Questo ha reso l’esperienza non solo un’esibizione ma anche un percorso di scoperta personale, dove, nonostante avessi immaginato di ritrovarmi in una posizione, mi sono spesso sorpreso a lasciarmi andare e a immergermi completamente nel momento.

T: Potresti descrivere in modo dettagliato il look che hai scelto per la performance e come queste decisioni stilistiche riflettano la tua identità e l’interazione con la comunità?

Domenico Romeo: Il mio look era un’espressione coerente con chi sono sempre stato, mirato a sollevare dubbi non tanto sulla sessualità, quanto sull’identità e su come gli altri ci percepiscono. Non era una questione di mostrare o nascondere il viso, ma piuttosto di interrogare chi siamo o non siamo agli occhi degli altri. La mia scelta non si focalizzava su un cambiamento radicale, ma su una sorta di rivelazione graduale sull’essere sempre gli stessi.

Indossavo una gonna di Ann Demeulemeester, scelti appositamente per la loro capacità di sfumare le linee tra i generi. Questo indumento rappresenta un equilibrio, suggerendo che, al di là delle divisioni convenzionali, esiste un’essenza comune. Sopra, portavo una sorta di kimono, simile a un’uniforme, creato nel mio studio, che mi riportava a me stesso e alla mia identità di base. Per quanto riguarda la faccia coperta, era un gesto simbolico per censurare parzialmente l’identità, mettendo in primo piano la comunità piuttosto che l’individuo. In questo modo, chi non conosce il mio aspetto fisico non avrebbe riconosciuto che ero io, Domenico Romeo, distaccando così il nome e la preconcezione dall’effettiva relazione personale. Questo elemento di mistero serve a rivelare che, nonostante le sovrastrutture esterne, siamo sempre noi stessi, con o senza maschera.

T: Vorrei approfondire la scelta del light design e degli effetti laser che avete utilizzato durante la performance. Cosa vi ha guidato in queste decisioni?

Cosimo Damiano: Abbiamo collaborato strettamente per ogni aspetto del light design, assicurandoci che le luci e gli effetti laser fossero in perfetta armonia con la musica e con l’atmosfera che desideravamo creare. Questa sinergia ha permesso di costruire un ambiente visivo che rispecchiasse la progressione della narrazione, evolvendo dalla rivelazione iniziale fino a culminare in una stanza digitale che sembrava esplodere, un vero e proprio spazio virtuale all’interno di un computer.

Domenico Romeo: Sì, ogni decisione era basata su dati precisi e sull’intenzione di comunicare specifici messaggi in determinati momenti. Questo ci ha permesso di creare un’ambientazione che oscillava tra il reale e il virtuale, sottolineando la transizione narrativa dal passato al futuro.

T: Quindi avete intenzionalmente cercato di creare un dialogo tra antico e moderno. Come vedete l’integrazione di questi elementi nel vostro lavoro?

Cosimo Damiano: Personalmente, la distinzione tra epoche mi appare come una barriera artificiale. Non è stata una scelta consapevole quella di attraversare i confini temporali; piuttosto, mi è venuto naturale nel corso del mio processo creativo. Per me, la musica e l’arte di ogni epoca hanno una rilevanza immediata e contemporanea, indipendentemente dal loro periodo storico originale. Credo fermamente nell’aprire portali tra diverse ere, rendendo il concetto di tempo non sequenziale ma fluido. Questo approccio non solo è possibile, ma è diventato una parte integrante del mio modo di fare arte, un processo che sento sia del tutto naturale e inevitabile.

Domenico Romeo: Concordo pienamente. Il mio lavoro rispecchia questa filosofia di fusione tra il vecchio e il nuovo. Ad esempio, utilizzo strutture metalliche che possono richiamare il design del 1600 o 1700, ma le rivesto con tessuti tecnici moderni. Questo contrasto crea una dinamica visiva che sfida le aspettative convenzionali e stimola una riflessione profonda sulla natura ciclica della tradizione e della rivoluzione. Questa combinazione non è solo una scelta estetica e stilistica; è una dichiarazione sul come le ere possono coesistere e dialogare tra loro. Nell’ultima, come in tutte le nostre esibizioni, abbiamo cercato di riflettere queste idee non solo attraverso la musica ma anche attraverso il design visivo e la scenografia.

Cosimo Damiano: Esattamente, questa fusione di elementi temporali non è stata solo una parte del nostro lavoro; è stata una delle pietre angolari del nostro progetto. Questa visione condivisa è stata uno dei primi punti di accordo tra noi, una rivelazione che ha catturato il nostro entusiasmo e ci ha spinto a perseguire in questo progetto con dedizione. Ci siamo resi conto che esplorare e sfidare la percezione del tempo non solo arricchisce il nostro lavoro artistico ma offre anche al pubblico un’esperienza più profonda e coinvolgente, invitandolo a vedere e sentire oltre i confini temporali tradizionali.

T: In un festival che abbraccia tanto la musica elettronica quanto le arti performative, come vedete l’integrazione di discipline come l’architettura, la scenografia, il teatro e la danza? E come interpretate la fusione tra la musica elettronica e altre forme d’arte?

Domenico Romeo: Abbiamo sempre cercato di essere pionieri in questo processo di integrazione, sperimentando con varie forme artistiche per creare un ambiente ricco e multisensoriale. L’essenza di questo approccio è vedere ogni arte come parte di un dialogo più ampio, che arricchisce l’esperienza del festival e sfida le convenzioni tradizionali. Ad esempio, la mia collaborazione con artisti di varie discipline, come Virgil Abloh, dimostra come il superamento dei confini tradizionali possa aprire nuove vie espressive e creatività inaspettata. Questo non solo amplia il mio orizzonte artistico ma invita anche il pubblico a vivere l’arte in maniere nuove e sorprendenti.

Cosimo Damiano: Condivido appieno. Per me, la distinzione tra le discipline artistiche è un concetto superato. Trovo che la vera arte nasca dalla libertà di esplorare e combinare diversi media e tecniche. Questo ci ha permesso di costruire una performance dove l’innovazione e la collaborazione non sono solo benvenute, ma essenziali. Il nostro approccio libero e aperto favorisce un ambiente in cui tutti possono contribuire in modo significativo, influenzando l’evoluzione del progetto e arricchendo l’esperienza collettiva. Facendo questo, non solo trasformiamo il nostro modo di vedere l’arte, ma anche quello di parteciparvi, aprendo la strada a esperienze artistiche che sono tanto inclusive quanto rivoluzionarie.

T: Per concludere, quali pensate siano l’importanza e il ruolo di eventi come Nextones nel panorama culturale?

Domenico Romeo: Posso confermare l’importanza significativa di Nextones, avendo maturato un’esperienza diretta. Questi eventi fungono da catalizzatori culturali, creando comunità di persone unite non solo dalla musica ma da un’esperienza condivisa che trascende il semplice ascolto. Le interazioni e le connessioni che nascono in questi contesti continuano a influenzare la nostra arte e le nostre vite, aprendo porte a nuove esplorazioni musicali e culturali che diversamente non avrei conosciuto. Considero Nextones più di un festival; è un punto di incontro per una comunità vibrante che valorizza la musica e l’arte come esperienze immersive. L’impatto di tali incontri è profondo, arricchisce la nostra creatività spingendoci a nuove scoperte artistiche.

Lara: Nextones è vitale per il suo focus eccezionale su ogni dettaglio dell’esperienza. Ogni momento è curato per garantire che tutto ciò che accade sia immersivo e significativo. È un luogo dove la connessione umana e artistica si fonde in modo unico, consentendo agli artisti e al pubblico di partecipare pienamente e senza distrazioni. La presenza totale, il vivere il momento senza pensare ad altro, rende ogni evento Nextones straordinariamente speciale.

Cosimo Damiano: Nextones si distingue per l’intensità con cui il pubblico partecipa e interagisce con gli artisti. Qui, l’attenzione è palpabile; le persone frequentano Nextones con un genuino interesse verso la cultura e l’arte, rendendo l’ambiente ideale per sperimentazioni artistiche profonde. Questo livello di coinvolgimento crea una rete di supporto unica per noi artisti, offrendoci la certezza che il nostro lavoro sarà apprezzato e compreso in modo significativo.

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