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Music

IN CONVERSATION WITH: NPLGNN

words: Giulia Maria Scrocchi

Un suono che è storia, una storia che è suono

09.04

IN CONVERSATION WITH: NPLGNN

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Napoli è una città di stratificazioni: sonore, culturali, politiche. Un luogo dove i margini hanno sempre trovato il modo di esistere al centro, di riscrivere la propria narrazione fuori da ogni logica dominante. È qui che prende forma il percorso di Giovanni, tra i primi battiti della house partenopea e l’eco distorta delle casse di un soundsystem, passando per gli squats, la politica e la ricerca incessante di suoni che non siano solo estetica, ma gesto radicale.

Lungo questa conversazione, emerge un filo rosso che unisce tutto ciò che fa: la costruzione di spazi sonori e narrativi in cui la musica non è solo intrattenimento, ma anche memoria, resistenza e possibilità di immaginare futuri alternativi. Da Napoli a Barcellona, da Babylon a MBE Series, il suo lavoro attraversa le geografie come un archivio vivente, in costante dialogo tra passato e presente.

Questa intervista non è solo il racconto di un percorso artistico, ma un’indagine sulle tensioni e le trasformazioni di una cultura che si muove tra DIY, comunità e spazi in continua ridefinizione. Perché l’underground, prima ancora che un suono, è una scelta e un linguaggio.

E in questo non luogo -fatto di spazi, scelte e linguaggi-, Giovanni si muove con un’attitudine precisa: la sua è una ricerca che si distacca dalle formule facili, un intreccio di influenze che si nutre di ogni frammento sonoro incontrato lungo il cammino. Dai break sincopati alla materia grezza della club culture, dalla musica rituale ai ritmi spezzati della bass music, il suo lavoro è stratificazione continua, un equilibrio instabile tra costruzione e decostruzione, tra memoria e nuove possibilità.

Puoi raccontarci come hai vissuto la Napoli che ti ha, inizialmente, ispirato?

Primi anni 2000. Dal punto di vista sonoro Napoli, la provincia e la periferia significavano una cosa, House Music.

A quei tempi ero ancora troppo piccolo per frequentare i club, così compravo i CD pirata delle registrazioni degli eventi. In quegli anni a Napoli gli eventi di musica house erano così popolari (vedi Angels Of Love) che alimentavano un enorme mercato pirata di CD, sapevi che al massimo il martedì successivo l’evento avresti trovato la registrazione in qualche negozio. Ascoltavo quei CD, collezionavo flyer e compravo (quando potevo) gli stessi vestiti delle tribes che frequentavano quegli eventi ma osservavo tutto dall’esterno.

Nel 2003/04 un pazzo decise di aprire un negozio di dischi nella mia zona. Ogni mercoledì riceveva nuovi dischi e io andavo lì a ritirarli direttamente dalla box appena arrivata. Quel negozio è stato fondamentale per alimentare la mia passione e le mie idee in quel periodo.

Poi, naturalmente, la musica reggae c’è sempre stata. Ricordo di aver stampato ed attaccato sul mio letto da bambino due immagini pixelate di Bob Marley e Peter Tosh. La cultura soundsystem però è arrivata più tardi, quando avevo 19/20 anni, quasi contemporaneamente a quello che all’epoca venne chiamato post-dubstep o UK bass. Sono poi seguiti molti anni di politica, occupazioni, Zer081, Officina99 e sound-system.
La parte universitaria del centro storico di Napoli fino a circa il 2015 era quasi completamente occupata ed i vicoli e le piazze erano ancora pieni di tribù urbane. Squat, occupazioni e naturalmente un sacco di suoni e musica che rispondevano principalmente a dub, reggae, trojan skinhead ska/rocksteady/early reggae, drum & bass e dubstep. I concetti di comunità, politica, libertà, erano centrali e il centro di Napoli era simile ad un enorme Villaggio Globale.
Quegli anni di conflitto a 360 gradi sono stati formativi per me per quello che faccio oggi. Sono anche contento di aver avuto la possibilità di ascoltare gente come Jah Shaka, Aba Shanti-I, Dennis Alcapone, Vivian Jones e molti altri su alcuni dei migliori rig del paese.
Poi LSC, Oltre, tante feste, tanti ricordi.

Le prime storie tramandate e legate agli United Tribes sono nate dell’evento ECCHERECCA’ III (ora stampato su cassetta per la serie MBE). L’evento viene raccontato come qualcosa di fuori dal tempo, qualcosa di leggendario. Ma sono sicura che negli anni ’90, ci sono anche altre storie legate al sogno italiano dell’edonismo. (…Per esempio: Titilla, Ethos, 99 e Vae Victis)

In realtà ECCHERECCA’ III è l’atto finale di United Tribes ma sicuramente è quello che li posiziona nella storia.
United Tribes avevano una visione della “festa” che andava oltre il semplice intrattenimento, vedi Hakim Bey e il sogno utopico della TAZ. Si lanciarono in un’avventura che sfidava la nozione stessa del tempo.

“We are here, we are now”

I loro eventi non avevano un inizio o una fine. Erano uno stato mentale progressivo. ‘We’re not in New York and we’re not in Cairo. We’re neither in Brussels nor in Amsterdam. We are not in Riccione. We are in Napoli!.’ si ascolta ad un certo punto della registrazione uscita per MBE series.
Ed in effetti quello che stava accadendo a Napoli in quegli anni era così radicato nel presente che solo qualche anno più tardi sarebbe poi arrivato in altre parti d’Italia come Rimini o Riccione. Qui però tutto si era già trasformato in un escapismo seppur a tratti radicale quasi prettamente edonista mentre il background di United Tribes era figlio del caos conflittuale dell’ultima ondata del punk e del post punk che si intrecciava in maniera perfetta con la Napoli degli anni 80 e dei primi 90.

Parliamo di “Mixed by Erry”. O meglio, della storia dei fratelli Frattasio.

Mixed By Erry per me rappresenta i viaggi in macchina da bambino. Ricordo vividamente quelle cassette che ascoltava mio padre che ad un certo punto si interrompevano e dagli altoparlanti usciva una voce che con tono da vocalist anni 80 annunciava “una produzione firmata Mixed By Erry”.

MBE Series è forse più una piattaforma editoriale che un’etichetta vera e propria, all’interno c’è una interessante curatela e indagine su diversi aspetti della musica non solo legati al club o alla musica elettronica. Come avviene la selezione dei progetti per MBE series? Rimanendo in tema Napoli, raccontaci un po’ della zine sul punk e sul movimento HC punk di Napoli.

MBE series nasce originariamente come serie di mix, una sorta di tributo alla figura pirata di Mixed By Erry (da cui il nome). Poi si trasforma rapidamente in un’etichetta nel 2015.
Per essere onesti, all’epoca non avevo un’idea chiara di quale dovesse essere la direzione. Gli elementi sicuri erano solo il blu delle cassette che richiamava il blu dei timbri Mixed By Erry e quel design definito da mantenere fisso per tutte le uscite.
Poi per MBE001 Beatrice Dillon mi inviò un mix straordinario di 90 minuti di sola musica proveniente dall’Africa occidentale. Quel mix ha poi definito la direzione dell’etichetta.

Con l’uscita della prima fanzine “Nyege Nyege Archive” l’etichetta ha di nuovo preso un’altra direzione ed è andata lentamente modellandosi in quello che è oggi.
Nella definizione delle release sicuramente la chiave estetica, non solo visuale, gioca un ruolo fondamentale.
La quasi totalità delle uscite però non è frutto di una programmazione studiata quanto più un naturale output delle mie ricerche ed ascolti.

La zine Napoli Punx 1979-1983 nasce un po’ casualmente. Mentre lavoraro al computer ero in un ascolto di fondo di un documentario sulla scena Hardcore Punk italiana dei primi anni 80 quando all’improvviso ascolto qualcuno nominare un nome conosciuto. Ritorno sul video e stavano intervistando il mio ex vicino di casa che scopro essere stato il batterista degli Underage, gruppo seminale nella scena HC punk.
Vengo a conoscenza poi successivamente che Davide (Underage) oltre ad essere il batterista degli Underage era anche la mente e l’artefice di tutte le principali fanzine punk Napoletane dell’epoca. Nel suo archivio c’è il racconto DIY di un mondo post crollo ideologico fatto di angoscia, disperazione, perdizione e delirante allegria che finalmente riusciva a materializzarsi grazie alla musica urlata e non-suonata del Punk. C’è anche tanta politica, anarchia, contro-potere ed i primi spazi occupati preludio dei centri sociali che sarebbero arrivati di lì a poco. C’è Napoli, ancora una volta caotica e radicale, ma c’è anche una parte di mondo che attraverso la “corrispondenza punk” scriveva a Davide dalla Colombia, dal Brasile ecc.
Potrebbe sembrare una storia tutta napoletana, ed in effetti un po lo è (vedi ZX ecc.), ma in realtà è il background emotivo di una generazione che in qualche modo risuona ancora nella contemporaneità e nell’attitudine DIY ad accezione ampia di oggi.

A proposito di zine, a casa posso dire di avere una delle prime copie di Tunnel, la prima fanzine italiana dedicata alla techno. Ormai, per me, rappresenta un cimelio. Un linguaggio che in parte abbiamo abbandonato a favore di altri più veloci. Cosa significa per te portare avanti questo progetto con questo formato, che definirei radicale, anche per i temi che tratti?

Mi sembrava naturale che MBE series si esprimesse attraverso un formato grafico appartenente al mondo dell’autoproduzione, se non altro perché ancora economicamente accessibile a produzioni indipendenti.
La zine resta un formato che permette immediatezza, spontaneità, di non prendersi troppo sul serio e giocare con gli aspetti grafici ed i layout cose che magari altri formati più canonici non permettono.
Le zine esistono come urgenza di comunicazione non mediata e se hanno resistito il tempo è perché questa urgenza fortunatamente non è mai del tutto svanita.
Se è vero che oggi viviamo nella dimensione dell’istantaneità è anche vero che ci sono molte narrazioni che sfuggono a questa tempolinea e molte di queste oggi continuano ad utilizzare anche e soprattutto il formato zine per esprimersi.

Di recente, mi sono imbattuta nel seguente concetto: “Le subculture non esistono più, ora è tutto un remix del remix”. Cosa ne pensi?

Penso che dovremmo smetterla di fissare il confine del presente sul nostro mondo.
Qui, alla fine della storia, è tutto diluito ma cosa succede fuori dal nostro confine? Non è un caso che negli ultimi 10 anni le cose più interessanti in musica siano arrivate dall’Africa, dal Sud America e da posti che fino a poco tempo fa erano completamente esclusi dalle narrazioni classiche.

Quello che mi colpisce dei tuoi progetti è che hanno tutti un po’ un comune denominatore: la ricerca di suoni attraverso lo studio e la scoperta di aree geografiche specifiche che hanno un certo impatto sia sonoro che sociale. Per esempio Trance Mediterranean.

Ma anche il progetto Mediterranean Futures mi ha molto interessato: concettualizza il Mediterraneo come un mare di correnti culturali e storiche che si sovrappongono senza fine e che superano i vincoli immediati dei confini e delle identità fisse e inflessibili. Ci racconti di più?

Credo sia sempre più necessario in questo presente confrontarsi con una nuova narrazione dell’area del Mediterraneo nella quale i ruoli di potere e subalternità cessano o si invertono permettendoci di riscrivere nuove narrazioni.

Esplorare l’oblio storico del Mediterraneo per ricostruire una storicizzazione dell’area che ci possa fornire strumenti per l’interpretazione del presente e aprire la possibilità di tracciare nuovi futuri.

Parlare di continuum storico, di hauntology Mediterranea, utilizzare la musica ei suoni come dispositivi critici che ci forniscono nuove sociologie e nuove storiografie. Analizzare la storia e le culture del Mediterraneo attraverso una ricostruzione non lineare ma piuttosto in sedimentazione.
I fantasmi del passato riemergono in questo eterno presente continuando ad avere un ruolo nel contemporaneo. Ci permettono di analizzare il presente, ricontestualizzarlo e reinventarlo.
Insomma partire dal Mediterraneo e dal Sud Globale per immaginare un’uscita possibile dal presente bianco e tecno-reazionario.

Pensi che in qualche modo, alcune web radio attuali, possano essere considerate, per la loro attitudine, un po’ come le radio pirata?

Sicuramente molte radio attuali almeno nei loro stadi iniziali mantengono dei processi di autoproduzione e diy tipici delle radio pirata. Queste però avevano al loro interno un meccanismo, forse quasi inconsapevole, di autonoma riappropriazione degli spazi. Le radio pirata erano degli spazi anarchici di espressione, delle taz in frequenza. E’ questa potenzialità conflittuale che spesso è mancante oggi, nelle radio ma non solo.

Da Napoli a Barcellona, anche grazie a Babylon, che ora approfondiamo. Ma è vero il luogo comune che le due città si assomigliano, a livello sociale e culturale?

Parto dal presupposto che considero Napoli una città così peculiare soprattutto sul livello sociale e culturale che mi sembra difficile possa somigliare a qualcos’altro.

Sicuramente le due città hanno molti punti in comune se non altro perché essendo entrambe porti del Mediterraneo ne condividono le caratteristiche essenziali. Attraversando ad esempio il quartiere centrale de El Raval si può ritrovare a tratti quel caos e quella spontaneità anarchica che sono tratti distintivi di Napoli e della sua cultura.

C’è poi da considerare tutta la parte culturale coloniale che Napoli si porta con sé dalla dominazione spagnola.

Purtroppo però Barcellona vive un accelerazionismo gentrificatore ormai da almeno venti anni che ha trasformato la città radicalmente. E’ un processo che a Napoli è in fase primordiale e che fortunatamente non ha ancora mutato totalmente l’aspetto della città e di conseguenza i suoi tratti socio culturali.
La storia non oleografica di Barcellona è una storia fatta di anarchismo, lotte popolari e creatività dal basso. Quel mondo è stato poi a poco a poco spinto sempre più lontano dal centro e relegato alla marginalità. Fortunatamente ci sono tante realtà e collettivi (politici ed artistici) che provano a resistere questo scenario. Le vecchie e nuove migrazioni poi hanno aiutato ad introdurre nuove narrazioni e ridato nuova energia al tessuto sociale.

BABYLON è un party che trae slancio creativo dalle sonorità bass e porta nella capitale catalana una nuova energia. Pensi che i generi che spingete dietro la consolle durante gli eventi siano accolti e compresi dalla città?

Non restringerei Babylon nella definizione di party bass oriented anche se ne è ovviamente una delle sue espressioni. Babylon, dal suo nome, nasce come entità concettualizzata attorno al Caos ed al Presente. Una piattaforma, un’espressione astratta in continua evoluzione delle mie idee nella musica e dietro di essa. Se è vero che viviamo in un eterno presente, allora Babylon vuole provare a narrare le cronache di questo presente.

Devo dire che già dai primi eventi nel 2019 abbiamo sempre avuto feedback positivi da Barcellona. Creare una sinergia con la città è stato per noi fondamentale fin dall’inizio. In ogni evento cerchiamo di coinvolgere artisti o collettivi locali provando a creare una sorta di ponte di connessione tra la scena locale ed i vari guest internazionali.
Credo sia importante costruire una comunità che non debba per forza essere fissa o iperconnessa ma che possa anche solo essere consapevole di cosa potersi aspettare da un nostro evento e di potersi ritrovare unita in quell’istante immanente.

Parliamo della tua musica: Il concetto dell’hardcore continuum, mi ha sempre affascinato. In primis perché è una tradizione musicale/subculturale che è riuscita a resistere per quasi vent’anni, negoziando drastici cambiamenti stilistici e cambiamenti significativi nella tecnologia, nelle droghe e nella composizione sociale/razziale della propria popolazione. I cambiamenti oggi sono quanto mai veloci, pensi che avremmo bisogno di un upgrade del termine per meglio descrivere quello che succede oggi?

Sinceramente credo che il concetto di Hardcore Continuum così come teorizzato sia tuttora attuale, almeno per chi ci crede.
Lo stesso fatto che sia appunto un Continuum porta con sé che sia automaticamente in evoluzione costante. Partendo dai 90 passando attraverso le vaporose mutazioni “post-tutto” dei primi anni dieci del 2000 fino alle più recenti mutazioni ritmiche provenienti dal sud globale ecc.
Questo sottointende utilizzare l’Hardcore Continuum come toeria ed in questo modo quindi svincolarsi dal discorso originario prettamente centrato sull’Inghilterra, che ovviamente gioca un ruolo centrale fino a qui. Si che in questo caso in qualche modo ci si discosta dal Hardcore Continuum teorizzato nei 90 anche se già allora era in vita un dibattito su se considerare l’Hardcore Continuum una teoria o semplicemente la fotografia di un passaggio storico.
Resta fondamentale in questo discorso anche la centralità della musica Dub, non solo come genere musicale ma anche come approccio e tecnica. Proprio recentemente in una conversazione con Iain Chambers si parlava di “dubbing” parlando dei processi di utilizzo della musica e dei suoni per la ri-comprensione storica. Brian Eno in un’intervista del 94 sosteneva che la musica elettronica deve tutto o quasi al concetto di dubbing ed alla sua sperimentazione creativa e tecnica.

Dopo di che non credo che vada intellettualizzata o concettualizzata a tutti i costi la musica, anzi è una pratica che trovo spesso noiosa.
L’Hardcore Continuum per me resta semplicemente un elemento teorico che aiuta a dare un contesto, una tempolinea che unisce punti apperentementi disclocati. Un elemento aggiuntivo ma non essenziale.

Riusciresti a descrivere la tua musica attraverso un disegno? [Se sì, disegnacela ed inviaci il disegno] Oppure se dovessi descriverla attraverso un immaginario, un film, un libro, quale sarebbe?

Senz’altro un immaginario d’urgenza. Chaos e rovine, euforia e comedown.. che poi riflettendoci descrivono i luoghi dove sono nato e cresciuto.

C’è qualche etichetta che stai tenendo d’occhio? Se sì, perché?

Superba Pistola, di Napoli.
Ritornando sul concetto di potenzialità conflittuale di prima, questo il loro manifesto per la presentazione del loro VA “Superba Youth Against Fascism”:

“Diffidando dalla narrazione principale di una guerra semplicemente localizzata, Superba Pistola come corpo nostro collettivo, ritiene anzi che la Guerra sia la condizione generale di tensione alla fine della Storia mai realizzatasi in cui versiamo.
Il conflitto palestinese è, nell’orizzonte delineato, una cesura, un taglio lungo circa 80 anni che si ascrive in quella dimensione estremamente tattile ed oscura della death drive di quel soggetto che è l’Umano tutto, senza alcuna distinzione di un gene che sia uno.
Superba Pistola, che un’arma la porta nel nome, questa stessa arma la rovescia, nell’unico modo che conosce: come forma pulsante di vita. In quanto riteniamo la tensione alla vita l’arma più violenta che abbiamo come megafono contro le sevizie storico-universali come il genocidio sionista in Palestina..”

Per gli stessi temi direi anche Heat Crimes, tutti i vari progetti di Nyege Nyege Tapes, Akhet Edizioni, Hundebiss Records.

Come avviene il tuo personale processo creativo? Cosa ti ispira, ancora, ad oggi?

Quasi mai arrivo alle mie cose seguendo un processo o un percorso strutturato. Ecco, non sono uno di quelli che disegna i diagrammi di flusso delle sue idee anche se sinceramente non sarebbe male farlo ahah.
Dipende anche dai progetti, per Forever Now ad esempio quasi tutto quello registrato e prodotto nasce da uno scambio costante con Davide (Dave Saved) soprattutto di innumerevoli idee insensate che poi a volte prendono forma in qualcosa di concreto.

Riguardo le mie cose invece il più delle volte si tratta di estemporaneità che poi ovviamente possono richiedere più o meno tempo per articolarsi.
Non sono uno che registra tantissimo però una volta che ho buttato giù delle idee per delle tracce poi solitamente impiego molto tempo nel definire un arrangiamento che mi soddisfi.

Ascoltare musica ed in generale frequentare la musica resta per me ancora fondamentale nell’ispirazione così come vivere il conflitto (politico, artistico ecc.). C’è poi anche una parte di ispirazione estetica che ricopre un ruolo molto importante per tutto quello che faccio.

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