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UNCOVERS: Piña Festival

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29.07

UNCOVERS: Piña Festival

UNCOVERS: Piña Festival

Nel panorama europeo dei boutique festival, Piña si impone come un progetto culturale che ha saputo tracciare una traiettoria unica, intrecciando ricerca sonora e identità territoriale. La sua forza risiede nella scelta radicale di collocarsi nel cuore della Pigna, centro storico di Sanremo, luogo carico di memoria e potenzialità espressive. In contrasto con l’immagine patinata e televisiva che spesso si associa alla città, Piña propone un altro racconto: un’esperienza collettiva di ascolto e trasformazione, in cui la musica diventa strumento per riscoprire lo spazio urbano e ridefinirne le geografie, intrecciando corpi, suoni e architetture.

Giunto alla sua quinta edizione Piña Festival si è progressivamente affermato come un laboratorio curatoriale attento alle traiettorie sonore più inafferrabili e trans-geografiche. Lontano dalla logica degli headliner, Piña costruisce la sua identità attraverso una programmazione orizzontale e non gerarchica, dove ogni performance è pensata in stretta relazione con il contesto che la ospita. Dalle terrazze vista mare alle piazze incastonate tra edifici seicenteschi, ogni spazio è scelto non solo per la sua bellezza, ma per la sua capacità di attivare una relazione intima e vibrante con i suoni che lo attraversano. La musica elettronica — nei suoi vari volti: afro-diasporica, cosmica, club-oriented — si intreccia a performance dal vivo e DJ set che rispecchiano una visione ampia e inclusiva della club culture contemporanea.

In questa conversazione, Scalarandis e Falco raccontano con passione il percorso che li ha portati a trasformare un sogno DIY in uno dei progetti culturali più significativi del Ponente ligure. Emergono così i nodi fondamentali della loro pratica curatoriale: il dialogo profondo con il territorio, l’urgenza di creare spazi accessibili e comunitari, la volontà di offrire alternative concrete all’omologazione culturale.

Piña nasce e si sviluppa nel cuore della Pigna, uno dei centri storici più affascinanti del Mediterraneo. Quanto incide il carattere urbano e architettonico di Sanremo nella costruzione della vostra visione curatoriale? In che modo lo spazio diventa elemento attivo nella programmazione musicale?

Francesco Scalarandis: Intanto ciao, sono Francesco Scalarandis, uno dei due curatori di Piña Festival insieme al socio e amico James Falco, grazie per averci ospitato sulle vostre pagine. Il carattere urbano e architettonico della Pigna hanno dato il via a tutto, non hanno solo inciso sulla visione curatoriale.

Bisogna intanto precisare che non siamo stati i primi a fare un festival in Piazza San Costanzo, main stage e spazio principale di Piña. Da circa 30 anni, ogni estate, un festival rock, Rock in the Casbah, ha luogo in questo spazio. La prima volta che partecipai rimasi impressionato: lo spazio sembrava creato appositamente per ospitare quei momenti, le mura della case circostanti prendevano vita, eravamo letteralmente in mezzo alle case degli abitanti del quartiere, eppure ci sentivamo liberi e nascosti, che è un po’ la sensazione che si prova frequentando questo quartiere, ai tempi semi-dimenticato.

Qualche anno dopo stavamo programmando l’antenato di Piña, di un solo giorno, in piazza San Costanzo. La visione artistica di Adventures, già nei club, è sempre stata molto eclettica, non avremmo mai ridotto la scelta ad un solo genere musicale, ma ricordo che all’inizio, James Falco ed io provavamo una sorta di timore reverenziale nei confronti dello spazio, non volevamo fare scelte che temevamo non fossero coerenti col luogo. Negli anni prendendo confidenza e sperimentando vari generi e tipi di performance ci rendemmo conto che alla Pigna si poteva fare tutto ciò che ci piaceva, tutto suonava bene tra quelle mura, lo spazio si mimetizzava e amplificava l’energia generata da musicisti e pubblico perfettamente, che ci fosse on stage un DJ set dub reggae, un live disco o un set con sonorità più techno.

Col crescere del festival in durata e dimensioni, quindi con l’aggiunta di nuovi stage, provammo a contestualizzare maggiormente i set, dal momento che gli spazi presentano caratteristiche molto diverse tra loro: il secondo stage, Via Del Popolo, che è una piccola terrazza vista mare che si presta molto bene a DJ set world e disco molto chill per godersi le ultime ore di luce ma anche a set elettronici e veloci all’imbrunire, ha, ovviamente, caratteristiche diverse da San Costanzo, anfiteatro scavato tra edifici del ‘600 dove live performance di gruppi numerosi rendono al meglio.

Ovviamente tanti altri fattori incidono sulle scelte artistiche: sono le dimensioni di stage e gruppi, l’estetica degli stage, il nostro gusto personale, il momento della giornata.

Negli ultimi anni, sempre più festival scelgono di affrancarsi da spazi canonici per abitare luoghi di passaggio, di memoria e di trasformazione. Forte Santa Tecla, San Costanzo e le piazze della Pigna sembrano rispondere perfettamente a questa esigenza. Qual è il ruolo che attribuite a questi luoghi come crocevia multidisciplinari?

James Falco: L’idea di utilizzare di questi luoghi nasce dall’esigenza di fare necessità virtù. Proponendo attività culturali in un luogo di provincia, in parte anche sfregiato dalla speculazione edilizia selvaggia degli anni ’70-’80, trovare luoghi che rispondono alle esigenze del contenuto che vogliamo offrire non è stato e non è facile. Nella Pigna abbiamo poi finalmente trovato la nostra dimensione.

In questi spazi musica e luoghi dialogano e sono in grado di amplificarsi a vicenda e la musica è la protagonista indiscussa ma anche il veicolo attraverso la quale questi luoghi vengono scoperti e vissuti.

Nel corso degli anni abbiamo progressivamente aggiunto nuovi spazi al festival in modo che i luoghi nel loro insieme restituiscano un riflesso dell’identità mediterranea di Sanremo e delle sue caratteristiche migliori che soprattutto noi che la viviamo 365 giorni all’anno spesso dimentichiamo.

La line-up del Piña 2025 si muove con naturalezza tra live, DJ set e sonorità che attraversano continenti e archivi culturali. Che tipo di responsabilità vi attribuite, come curatori, nel costruire ponti tra le scene globali e una comunità locale in crescita?

James Falco: Sempre in parte per una questione di esigenze e di budget, abbiamo scelto di emanciparci da una direzione artistica legata alla scelta di headliner ma di creare un cartellone più orizzontale e organico dove ogni fase del festival ha la sua importanza e dove ogni act ha il suo valore intrinseco e non ha luogo principalmente in funzione di quello che verrà dopo.

L’idea alla base delle scelte artistiche del festival è quella di creare un momento nel quali diversi artisti, collettivi e scene da diverse parti del pianeta che condividono una serie di valori in comune e un certo modo di intendere la musica e le feste si ritrovino insieme per creare qualcosa che possibilmente poi venga ricordato nel tempo e che funga anche come un momento di connessione, di scambio di conoscenze e competenze.

Il fatto poi che questo avvenga a Sanremo, una piccola città all’estremo margine ovest della Liguria, è per noi un valore aggiunto inestimabile.

Dalle strade del centro storico al party sulla spiaggia, Piña si presenta come un progetto collettivo che mette al centro comunità, accessibilità e coesistenza di pratiche artistiche diverse. Quali urgenze vi hanno spinto, cinque anni fa, a dare forma a questa idea? E cosa significa per voi oggi “fare festival” nel Ponente ligure?

Francesco Scalarandis: 11 anni fa nasce l’associazione culturale Adventures Sanremo ed organizziamo il nostro primo evento: era alla Pigna durante il Festival di Sanremo.
Volevamo organizzare a Sanremo un evento musicale che non fosse legato al Festival della canzone italiana o alla cultura mainstream; farlo alla Pigna, centro storico di Sanremo, incredibilmente bello e trascurato; creare un contenitore per musica ed altre forme espressive, che fosse inclusivo, internazionale e fuori dal tempo, tra le mura seicentesche della Pigna.

Piovve due sere su due, fu un disastro, si salvò solo l’afterparty in un mini club improvvisato. Probabilmente questo fattore fu determinante per quello che avvenne successivamente.

Cinque anni fa arrivavamo tutti e tre i soci fondatori da qualche anno di clubbing molto intenso come titolari e organizzatori. Eravamo appena tornati a Sanremo da Milano, dove abbiamo studiato, e da varie esperienze in giro quando più o meno casualmente ci trovammo per le mani la possibilità di gestire un club, dove Adventures fece la sua prima programmazione regolare. Per due anni vennero settimanalmente a suonare ad Arma di Taggia, spesso per la prima volta in Italia, artisti come Carista, Courtesy, Or:la, Adiel, Peach e tanti altri.

Servivano stimoli e avevamo un sacco di idee: tornammo al piano iniziale, all’idea del festival e alla Pigna. La prima edizione fu incredibile, rivoluzionaria, una soddisfazione indispensabile per portare avanti l’ idea di creare un festival di questo tipo a Sanremo. 3 giorni di musica e condivisione alla Pigna, gratuiti, con artisti internazionali. Musica da tutto il mondo, musica senza tempo, in un luogo senza tempo. Magico.

La cosa importante è che era successo, avevamo creato un precedente da cui partire per sviluppare il progetto. Oggi i giorni di festival sono diventati 5, i palchi alla Pigna sono 3 e abbiamo inclusi altri luoghi significativi di Sanremo, ma siamo ancora una realtà DIY e ci sentiamo ancora all’inizio.

La difficoltà principale di fare un festival del genere in provincia è che le amministrazioni sono conscie dell’importanza di queste manifestazioni solo parzialmente, supportano ma attualmente è praticamente impossibile pianificare a medio/lungo termine. Significa che siamo in grado di ultimare il budget solo nell’anno corrente, privandoci della possibilità di programmare da un anno all’altro, il che comporta l’impossibilità di ampliare il numero di live e di inserire attività collaterali.

Oggi, però, se devo fare una valutazione, penso che i pro di fare un boutique festival in una zona scarsamente raggiungibile come la nostra superino i contro, bisogna solo avere la forza di superare la fase iniziale.

Sanremo è una città con un’identità musicale forte e consolidata, spesso percepita in modo univoco dal grande pubblico. Piña, invece, propone una narrazione completamente diversa, radicata nella ricerca sonora, nell’ascolto condiviso e nella sperimentazione. Come si costruisce un dialogo – o una distanza – con l’immaginario dominante che la città inevitabilmente porta con sé?

Francesco Scalarandis: Sanremo ha un’identità musicale fortissima, non penso che esistano in Italia altre realtà di questo tipo. Questo comporta ovviamente sia vantaggi che svantaggi per noi.

Partendo dagli aspetti positivi: la città è pronta, sia in termini ricettivi, sia in termini burocratici: gli uffici sanno cosa fare per permetterci di mettere in sicurezza le venue dei festival, che sembra scontato ma non è poco, buona parte delle amministrazioni di piccoli comuni di provincia infatti non sanno neanche che documentazione fornirti. Inoltre le nostre poche migliaia di avventori non spaventano e la città è pronta ad ospitarle.

L’aspetto negativo principale è invece che le nostre poche migliaia di avventori oltre a non spaventare non impressionano nessuno: avendo parametri ben più alti le nostre manifestazioni passano quasi inosservate ai più. Quindi, mi collego alla risposta precedente, è molto difficile ricevere le attenzioni di cui Piña ha bisogno per crescere, sia a livello progettuale che economico.

Da un punto di vista musicale non cerchiamo nessun punto d’incontro con la cultura pop sanremese, anzi, una distanza appunto. Inizialmente la decisione di fare Piña alla Pigna portava con se un messaggio molto chiaro: cercavamo un punto di rottura totale, una separazione, ma con una porta d’accesso per i local più curiosi: l’evento è gratuito e aperto a tutti, ma per arrivare devi arrampicarti a piedi tra piccoli carruggi in salita, fino alla piazza più alta della città, per molti un luogo sconosciuto, per ascoltare artisti spesso mai neanche sentiti nominare.
Col passare degli anni siamo rimasti coerenti a questo concetto, l’identità musicale del festival non è cambiata anzi, forse si è ulteriormente radicalizzata. Abbiamo consolidato una nutrita base di supporter locali (sorprendentemente aperta e ricettiva alle nostre proposte per essere una piccola città) che è stata affiancata da appassionati di musica provenienti da 15 paesi, uno degli obiettivi principali del festival è quindi stato raggiunto.

Ciò che stiamo provando a cambiare è il rapporto con le amministrazioni, cittadina e regionale, e coi media locali, approfondendoli. Mi spiego: essere il festival underground, che non scende a compromessi e non dialoga coi media, in una città come Sanremo significa avere la possibilità di creare il punto di rottura sopra menzionato, creando delle ottime opportunità a livello comunicativo e di storytelling, ma comporta anche attirare antipatie. Ciò che è diverso e funziona spesso non piace. E ovviamente un evento che occupa 6 spazi in città e punta a crescere ulteriormente, non può fare altro che interagire con politica, uffici e media, i quali proveranno a farti scendere a compromessi, rischiando di minare la tua identità. Quindi che fare? Non abbiamo una risposta, per il momento siamo riusciti a continuare con coerenza, grazie anche alle amministrazioni degli ultimi 10 anni, che hanno sempre strizzato un occhio a questo genere di attività.

Foto di Claudiu Asmarandei e Daniele Risso

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