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Fashion

Tom Ford: la cinematografia del corpo

words: Luca Cioffi

17.10

Tom Ford: la cinematografia del corpo

Tom Ford: la cinematografia del corpo

Interdisciplinare, multiculturale, al confine con la onniscienza: l’operato di Tom Ford è una raccolta organica di arti che spaziano dalla moda alla cinematografia. Ognuna di queste è una scienza esatta, studiata analiticamente sotto una più ampia lente sociale che cattura i movimenti del corpo e li riproduce davanti ad una cinepresa, intrappolandoli in lembi di tessuto che fanno da attori, sceneggiatori e registi di un cortometraggio girato nel tempo di uno show. Corpi bollenti cuciti su bottoni tirati, gonne usurate da gambe voraci, e delle grandi lenti giallastre alla Terry Gilliam, sono le parti che formano un immaginario unico, ambientato tra il Texas degli anni ‘70 e la New York degli ultimi ‘90, in una timeline imprecisa che balla sulle note di I Feel Love di Donna Summer e Giorgio Moroder.

Il cinema del costume di Tom Ford è un’opera complessa che si regge su un gioco di ruolo e di interpretazione, come in una delle pellicole di uno dei suoi registi preferiti, Wong Kar-Wai, l’anomalo autore della cinematografia orientale, occidentalizzato da un gusto capitalista per il costume e la sua simbologia, che ha dedicato tutto il suo lavoro a quegli uomini in cerca di un riscatto sentimentale. Pelle resa escandescente da una fotografia giallastra, vestita di pizzo rosso e veli di tulle che ricordano gli esordi nel prèt-â-porter di Gucci, quando Tom Ford scrisse la nuova storia del brand con un approccio erotico al limite dell’esplicito, con collezioni provocatorie ed ammalianti tradotte in giacche di velour e camicie aperte bruciate sotto un sole al tramonto.

Le tinte del primo Tom Ford sono quelle di una pellicola neorealista: si va dal nero al dorato, dal bianco al blu, il tutto galleggiante sul rosa della pelle pallida di quei modelli che sembrano usciti da uno dei video musicali di Bee Gees e Alicia Bridges. Le stesse tinte che porterà con sé fino all’apertura del suo brand nel 2005, senza dimenticare la breve esperienza da Saint Laurent grazie alla quale introdusse una nuova parola nel suo vocabolario creativo, cioè “notturno”, per quell’effetto “intimo” che l’uso di sete e satin riproduceva nelle collezioni.

Gucci FW2004

"A Single Man", Tom Ford, 2010 — “A Single Man”, Tom Ford, 2010

Allora i Daft Punk cantavano One More Time ed in quel senso di ripetizione, Tom Ford, ritroverà se stesso, costruendosi un’identità copiosa, fatta di simboli che non scompariranno mai, ma che si esibiranno su nuovi palcoscenici come quelli del cinema d’autore, al quale giungerà più tardi, precisamente nel 2009 con la prima di A Single Man.

“A Single Man”, Tom Ford, 2010

Una pellicola che alcuni definirono come ‘’cruda’’ ed altri ancora come “materica”, per quella passione brutale che aleggia tra le camicie bianche, intonse di Colin Firth e le maglie morbide di Nicholas Hoult. Questo uso del bianco alternato al nero di giacche maschili riprese sotto lenti verdeastre, riporta al primo show da direttore creativo per Gucci, nel lontano 1995, quando il giovane Ford mostra un nuovo concetto di lusso tattile, percettivo, volto alla scoperta di un corpo senza genere, che gradualmente si scorge tra completi in velour dalle tinte sature. Sembra un’apparente coincidenza: il primo show da creativo ed il primo movie da regista, a distanza di 14 anni l’uno dall’altro, trattano dello stesso soggetto: il piacere, tradotto in tessuti setosi e monologhi interiori.

t-mag, Gucci FW1995, vogue.com — Gucci FW1995

A guidare, non solo l’occhio ma anche l’orecchio dello spettatore, vi sono le sonorità immobili di Abel Korzionewski che, con Stillness of a mind, cattura quell’istantanea passione che sprigiona la femminilità di Tom Ford, quasi fosse pelle che lentamente brucia sotto le luci dei défilé di New York e sotto quelle del grande schermo.

L’opera seconda della cinematografia del creativo, non può che essere il continuo della prima. Animali Notturni, del 2016, è il secondo capitolo di questo ballo a due tra moda e cinema che riprende lì dove A Single Man si era concluso. Dal buio dei titoli finali dello scorso movie, rinasce il gusto per il corpo ed il suo piacere, questa volta interpretato da Amy Adams.

La crudeltà della storia si accompagna ai look della protagonista che, come un animale della notte, sbrana il ricordo di un amore finito, stringendo a se il verde e nero di abiti lunghi, cut out che sembrano non mostrarsi mai del tutto, ma sempre nell’ombra di una scenografia che parla della terra natia di Tom Ford: il Texas. Il verde dei prati incolti della provincia americana diventa una distesa verticale di micro applicazioni cucite sulla lunghezza di abiti da sera, quelli presentati dal designer per lo show FW04 di Gucci, che Sarah Mower definì “creature della notte”. Quegli stessi corpi rivestiti di chiffon e jersey, sfilano sulle note di Gabrielle Lenster e Nick Cooper, esibendo l’audacia di modelle e modelli dagli occhi marcati di nero, come l’insonnia della Adams nel movie.

Amy Adams, "Animali Notturni", Tom Ford, 2016 — Amy Adams in Animali Notturni, Tom Ford, 2016

“Non vi è rinascita senza un colpo di scena” diceva la Mower quando, sulle pagine di Vogue, affrontava il tema della successione del brand italiano all’uscita di Ford dalla direzione creativa nel 2004. Il colpo di scena fu l’indipendenza creativa del designer, che aprì il suo brand divenendo così il costumista delle sue stesse idee, perché, come disse lo stesso Ford, “anche quando ragiono, le mie idee non sono mai spoglie”. Lo stesso non si può dire dei look, il cui tessuto sembra sempre interrompersi sulle forme del corpo femminile, quasi ci fosse un rifiuto nel voler coprire la pelle, ma lasciargli sempre uno spazio da cui respirare. Che siano i bottoni della camicia, i tagli di una gonna, l’abito è cornice vuota, il candore della pelle l’unico indiscusso soggetto.

La cinematografia di Tom Ford nasce proprio con il suo brand perché, seppure i richiami alla tenure da Gucci siano innegabili, i costumi fanno da saltimbanchi temporali che confondono il pubblico tra le collezioni di ieri e quelle di domani della sua fase matura post Gucci. In A Single Man il menswear è rigoroso ma al contempo concessivo, come la sartorialità sportiva delle collezioni FW17 e SS20. In Animali Notturni il guardaroba femminile è formale ma intimo, come la SS19 dove giacche tailored scivolano su sottogonne dai bordi in pizzo, in un contrasto sensoriale che ricorda Kim Wilde esibirsi su una sinfonia classica.

Tom Ford FW2018

Un quadro complesso dalle tinte fosche, che cattura lo sguardo del pubblico per la sua fedele rappresentazione di una società materialista, che pone la donna sotto una luce più luminosa di quella dell’uomo. Emblematico è l’approccio che ha verso entrambi i sessi, sia nelle collezioni che nei lungometraggi. Se la donna è protagonista delle luci della ribalta, incline ad ignorare la sua fragile natura vestendosi di pubblica audacia, l’uomo è tradizionale, equilibrato, dosato come il whisky con il quale è apparso uscire Tom Ford al termine di alcuni show, ad indicare la fragilità e le vivide emozioni che si nascondo dietro a giacche lucide e occhiali scuri. Le stesse soundtrack degli show sembrano muoversi su frequenze diverse ma in contemporanea: dalla dance music al pop 70s.

“Con lui gli abiti si muovono da soli, non saprei dire altro se non che ondeggiano su un remix anni 80” disse Brian Blake, presidente del brand, perché in ogni arte di Tom Ford, gli abiti non sono mai silenziosi: recitano davanti ad una cinepresa e gridano, ballano sulle venue degli show.

La sua estetica non è mai solamente bellezza, ma è l’uso che ne fa a dargli forma, a dargli vita, proprio grazie ad uno schermo e ad una traccia musicale.

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