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Music

IN CONVERSATION WITH: TOKiMONSTA

words: Luca Menenti

02.04

IN CONVERSATION WITH: TOKiMONSTA

IN CONVERSATION WITH: TOKiMONSTA

Il 7 marzo è stato il giorno di “Eternal Reverie” nuovo attesissimo album di Jennifer Lee, in arte TOKiMONSTA.

A distanza di cinque anni dal suo ultimo L.P. , l’artista di Los Angeles ha dato alla luce quello che lei stessa non stenta a definire come il suo lavoro migliore: un disco dal significato intimo e personale, in cui coesistono esperienze dolorose e un’incontenibile gioia di vivere e di celebrare il processo creativo.

Abbiamo incontrato Jennifer pochi giorni prima dell’uscita del disco e ci siamo fatti raccontare di come sta vivendo questa pubblicazione, che tra le altre cose include featuring pesantissimi – Anderson.Paak, Rae Khalil, Cakes da Killa e Mez, solo per citarne alcuni.

Eternal Reverie è un album che sembra toccare molti aspetti emozionali. Cosa significa questo disco per te, non solo sul piano musicale, ma anche personale?

Con questo disco ho potuto abbracciare a pieno il mio spirito creativo. Dopo tanti anni trascorsi a fare musica il rapporto con l’arte tende a diventare un po’ complicato e altri fattori iniziano ad interferire: la vita, la pressione, i soldi… Fare musica è un dono e il potersi occupare tutto il giorno di dare vita a un dono è una benedizione, così quando ho sentito che il mio rapporto con l’arte era sotto pressione a causa dei tour, dei social media e di altre fonti di stress, ho deciso di prendermi un momento e rimettermi a fare musica a tempo pieno.

È all’interno di questo processo che ho voluto guardarmi indietro e ritrovare la me stessa di inizio carriera, intorno al 2010. La me stessa dei tempi di “Midnight Menu”, quando mi sentivo libera di fare quello che volevo, perché ero un’artista ancora poco conosciuta. In quel periodo potevo permettermi di fare musica strana ed ero circondata da persone che volevano fare lo stesso. È da qui che parte questo album, dal voler recuperare quella parte di me.

Purtroppo nel frattempo sono successe alcune cose terribili. La mia migliore amica si è ammalata gravemente proprio quando il disco stava per essere pubblicato, tra la fine dello scorso settembre e l’inizio di ottobre.

Appena è stato chiaro quanto grave fosse la situazione ho deciso di rimandare l’uscita e annullare il tour, per potermi dedicare a lei, finché non ci ha lasciati.

Hai parlato dei tuoi primi anni da artista, in cui avevi un rapporto più “puro” con la musica: cos’è cambiato nel tuo approccio creativo rispetto agli inizi?

Quando ho iniziato godevo di una grande libertà creativa, ma non avevo i mezzi e le conoscenze tecniche per raggiungere il risultato che avevo in testa. Ci sono alcune cose che, potendo tornare indietro, farei diversamente.

All’epoca non avevo la possibilità di collaborare con grandi cantanti e questo ha fatto sì che emergesse il bello di fare musica strumentale.

Ora questa possibilità ce l’ho e la mia produzione è praticamente in equilibrio tra pezzi strumentali e pezzi cantati. Inoltre credo di aver acquisito molta più tecnica e questo mi permette di scolpire il suono esattamente come me lo sono immaginato.

All’inizio della mia carriera ero “o mio dio, voglio fare beat tutto il giorno” e facevo praticamente solo ciò di cui avevo voglia. Con il tempo ho cominciato a fare alcune cose solo perché sentivo di doverle fare e così sono arrivata ad un punto in cui ho sentito l’esigenza di iniziare a dire dei no, perché stavo perdendo contatto con la mia creatività e con la mia salute mentale.

Eternal Reverie nasce dall’esigenza di riconnettermi con questa parte di me.

In questo album ti sei espressa attraverso generi diversi, come house, rap, disco, elettronica strumentale e club music. Come hai bilanciato tutti questi elementi e cosa ti ha guidata nella scelta di un sound così diversificato?

Sì, nel disco sono presenti generi diversi e penso che questo dica tanto di me; non mi considero una purista e ascolto molti tipi di musica. Del resto oggi una ragazza potrebbe tranquillamente ascoltare sia Taylor Swift che Aphex Twin, e questa è una cosa che amo del nostro tempo.

Ad ogni modo, credo che l’equilibrio in questo disco risieda nella pasta sonora. La musica elettronica è spesso troppo lavorata, mentre io volevo ottenere un risultato più caldo e grezzo. Era importante per me dare spazio alla mia vocazione da beatmaker ma non volevo fare un disco di soli beat, così ho esplorato altri bpm e il risultato che ne è venuto fuori è questa edm non convenzionale.

Per usare una metafora diciamo che ho dipinto cose diverse, ma i colori e i pennelli che ho utilizzato sono gli stessi.

In “Lucky U” hai collaborato con Gavin Turek. Siete amiche da tempo, vuoi parlarci della connessione che c’è tra voi?

Penso che la cosa più bella che scaturisce da una collaborazione sia sempre la musica stessa. Con Gavin ci conosciamo dai tempi di MySpace e lei è stata la prima artista in assoluto con cui abbia collaborato. Ora abbiamo entrambe le nostre carriere e non è facile trovare del tempo per stare insieme, e lavorare a questo pezzo è stata un’occasione per continuare a costruire il nostro rapporto. Ci siamo incontrate come due amiche che si ritrovano per parlare delle loro vite e in più abbiamo anche avuto la possibilità di lavorare insieme alla nostra musica.

Il messaggio del pezzo è molto profondo. Riconoscere il proprio valore e non darsi per scontati nel concedere il nostro tempo agli altri…

Sì il pezzo ha un significato positivo, ma non in modo tossico…le persone che entrano in contatto con noi sono fortunate e spesso dimentichiamo il nostro valore o lo diamo per scontato. Il messaggio è: se qualcuno non ti apprezza smetti di dedicargli tempo e attenzioni.

La title track “Reverie” è un pezzo strumentale. Perché hai deciso di esprimere un concetto così complesso senza utilizzare le parole?

Reverie (fantasia, sogno ad occhi aperti n.d.r.) è uno stato personale, un viaggio. Il fatto che non sia presente un testo, nel pezzo, fa sì che ognuno possa vivere questa sensazione a modo suo. L’album è una sorta di arco, con delle fasi al suo interno. All’inizio c’è un certo tipo di energia, poi diventa più strumentale e tranquillo e gli ultimi pezzi sono riflessivi, come se rappresentasse una sorta di ciclo della vita. Spero che questo metta l’ascoltatore nelle condizioni di iniziarlo nuovamente una volta finito, come se fosse un loop. Reverie rappresenta il culmine di questo circolo.

Che tipo di esperienza vorresti vivessero i tuoi fan mentre ascoltano il disco? E quali emozioni speri di suscitare in loro?

Spero che susciti gioia di vivere, creatività, rispetto per se stessi. Che possa contribuire a sbloccare chi si trova in un momento difficile della propria vita e a caricare ulteriormente chi si trova in una fase già positiva. Vorrei che le persone, ascoltando questo disco, riscoprissero il momento in cui la musica li ha davvero catturati per la prima volta e, qualora l’abbiano perduta, che si sentano sospinti a ritrovare la curiosità nell’esplorarla.

Vorrei che si ritrovassero in uno stato di “reverie”.

Hai in programma un tour?

Sì, ma sarà molto diverso da come lo avevamo pensato. Inizialmente il tour avrebbe dovuto comprendere trenta date solo in Nord America e avrei dovuto passare molto tempo in bus. Una volta annullato lo abbiamo ripensato in modo completamente diverso. Un po’ come il disco ripercorre per certi versi l’attitudine che avevo agli inizi della mia carriera, così anche le esibizioni dal vivo avranno luogo in venue più intime e raccolte.

Non mi interessa vendere più biglietti, per il grande pubblico ci sono sempre i festival, ma per questo show ho bisogno di maggior connessione con il pubblico; voglio poter riempire la vita di ognuno dei presenti e poter vedere le loro facce.

Potrebbero essere presenti anche alcuni dei nomi incredibili con cui hai collaborato?

Sono tutti artisti talentuosi e impegnatissimi. Mi piacerebbe portare alcuni nomi in particolare come Gavin o Mez o, se possibile, esibirmi nuovamente con Anderson.Paak. Il tour sarà completamente live, vediamo quali sorprese riserverà…

Questo album è particolarmente importante perché celebra i dieci anni della tua etichetta, Young Art Records. Quale sentimento suscita in te, questo, e qual è la tua visione per il futuro dell’etichetta?

Il senso di Young Art è sempre stato quello di supportare la creatività. Non mi interessa farci dei soldi, mi basta già che riesca ad autosostentarsi. Attraverso l’etichetta posso esprimere costantemente il mio amore per la musica, supportare artisti in cui credo e dargli la visibilità che meritano. Mi piacerebbe implementare la nostra struttura per poter allargare la produzione e far sentire gli artisti davvero supportati, attraverso un team che li aiuti in tutto, anche negli aspetti amministrativi e logistici.

Tutto questo succede a Los Angeles. Che rapporto hai con la tua città? Hai mai pensato di lasciarla per trasferirti altrove ed esplorare nuove scene?

Potrà sembrare strano visto che molte persone sentono la necessità di lasciare casa loro e spostarsi altrove, ma io non ho mai voluto andarmene. A L.A. c’è la mia comunità, è qui che mi sento in famiglia…e non sarei quella che sono se me ne andassi da qui. È questa città che mi ha formato artisticamente.

Mi piace trascorrere dei periodi all’estero, per esempio in Europa o in Asia, per poter esplorare le culture musicali del luogo, ma alla fine sono sempre tornata qui. Essere a Los Angeles, musicalmente parlando, è stata una benedizione. Qui c’è una scena molto florida di beatmaker ed è stato proprio il beatmaking ad avvicinarmi alla produzione musicale.

Spesso le persone sono attratte dagli aspetti più commerciali e sbrilluccicanti di Los Angeles e non si rendono conto di quanto la città abbia da offrire. Qui c’è un sottobosco artistico incredibile, free party e tante altre situazioni da esplorare, che non sono proprio alla luce del sole.

Cos’è che ti dà energia, in questo momento? Quali sono le cose che ti ispirano nel fare musica?

La quantità di musica che continuamente viene prodotta è sicuramente di grande ispirazione. Vedere come gli artisti con resilienza si adattino e trovino nuove forme espressive mi spinge a fare lo stesso. Per questo motivo ho sempre bisogno di fare cose nuove, anche se questo comporta prendermi dei rischi.

Non sono mai stata il tipo di artista che fa sempre la stessa cosa. La mia vecchia musica è sempre a disposizione degli ascoltatori per poter rivivere quel periodo della mia carriera o quella parte della loro vita. Ma per sentirmi davvero creativa ho bisogno di evolvere costantemente.

La musica come rievocazione delle nostre vite è un’immagine molto bella…

Non sono il genere di persona che tiene un diario, quindi in ogni lavoro è come se vi fosse impresso chi ero in quel preciso momento. Questo album mi aiuta a ricordare tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare mentre ci stavo lavorando, la malattia e la morte della mia migliore amica…per me è davvero significativo, al di là della musica in sé.

Spero che arrivi la vulnerabilità che c’è in questo disco e che le persone si lascino coinvolgere da questa pagina della mia vita.

<a href="https://tokimonsta.bandcamp.com/album/eternal-reverie">Eternal Reverie by TOKiMONSTA</a>

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