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Music

IN CONVERSATION WITH: NIFF

words: Alessandra Gesualdi

10.05

IN CONVERSATION WITH: NIFF

IN CONVERSATION WITH: NIFF

Fuori Orario e fuori dagli schemi: un cross-over d’avanguardia dove il presente è già futuro

Si potrebbe dire che le onde tra cui navigano i pirati coraggiosi dell’underground finiscano per tracciare la rotta dei marinai ancorati nei porti sicuri del mainstream. È proprio durante questa costante esplorazione che si intercettano i segnali del futuro – correnti profonde che anticipano ciò che arriverà in superficie. In questo oceano immenso di musica contemporanea, la parola d’ordine è contaminazione.

Dentro questa condizione di continuo movimento – e mutamento – Nicola Paesani, in arte Niff, trova la sua forma di espressione artistica più sincera. Dagli anni della Riviera Romagnola a quelli trascorsi a Berlino, il suo sound non ha coordinate fisse e orbita attorno a diversi pianeti dell’universo elettronico, seguendo traiettorie sempre nuove. Questa attitudine errante prende vita in ‘Fuori Orario’, una piattaforma multidisciplinare e anticonformista che incarna la sua visione artistica. Una dimensione in cui il clubbing si apre a nuove possibilità e sperimentazioni, ridando vita a spazi dimenticati.

Dall’Europa alla Corea del Sud, fino al Sud America, Niff si muove anche fuori dai confini europei. In questo scambio di energie e connessioni autentiche con culture lontane – ma con gusti affini – si parla una lingua universale che non ha bisogno di traduzioni: la musica.

A: Ciao Niff e benvenuto su t-mag. Il tuo sound é il risultato di tante contaminazioni e sperimentazioni. Come sono nate queste influenze? Puoi raccontarci qualcosa delle tue origini e di come ti sei avvicinato al mondo della musica elettronica?

N: Ciao Alessandra, grazie! Il mio primo contatto con la musica elettronica risale credo al 2000, grazie alle radio italiane che trasmettevano, nelle ore serali, le registrazioni di DJ locali. Un’altra fonte importante fu la rivista “Trend”, che usciva sempre accompagnata da un CD mixato. Con il mio stereo, registravo i brani che mi colpivano ascoltandoli qua e là, li selezionavo e li ri-mixavo su cassette personalizzate. Dopo questa fase iniziale, ho cominciato a condividere la mia passione con gli amici, e dopo un pò abbiamo iniziato a frequentare i club della riviera romagnola, e quindi le nostre prime influenze, i DJ italiani.

A: Ci sono ricordi o momenti particolari che ti hanno segnato in quel periodo?

N: Certo che sì, ricordo nitidamente la prima volta che sono entrato al Titilla, iconico privé del Cocoricó, avevo solo quindici anni, era un weekend di maggio del 2003: un’esperienza indimenticabile. Al Coco, in quegli anni, si respirava davvero arte, ogni stagione veniva costruita attorno a un tema specifico, intrecciato alla musica, e ogni weekend prendeva vita uno spettacolo diverso. Ovunque c’erano installazioni visive, sparse per tutto il club, e l’atmosfera era quasi teatrale, ma con l’energia di una grande festa, Mi ricordo benissimo, per esempio, gli artisti, truccatissimi, che stavano immobili dentro teche trasparenti sotto il pavimento, subito dopo le scalinate all’ingresso… assurdo. Ma ricordo bene anche le prime volte all’Echoes o a Les Folies De Pigalle. La door selection era rigidissima, specialmente a “Les Folies”, che erano ancora più esclusive anche perchè si tenevano solo due domeniche al mese, in un club piccolissimo – l’Adrenaline di Reggio Emilia. Entrare era difficilissimo, ma proprio questa difficoltà contribuiva a creare un’aura speciale attorno all’evento. Quando tornavo a casa il lunedì pomeriggio… mia madre non era contenta [sorride]. Da lì abbiamo iniziato a frequentare regolarmente la Riviera, quasi ogni weekend. Molti dei miei amici più stretti passavano il sabato esclusivamente all’Echoes o al Titilla, dove suonavano principalmente DJ italiani. Io, invece, a volte andavo al Peter Pan, perché lì gli Angels of Love di Napoli portavano i DJ americani: il sound era abbastanza diverso. In generale, però, sulla Riviera il trend dominante era la house con sfumature electro o progressive.
In quel periodo circolavano tante cassette con registrazioni delle serate – è così che il nostro background musicale ha cominciato a prendere forma.

A: Il nome del tuo progetto Fuori Orario – etichetta discografica e serie di eventi internazionali – suggerisce un certo mood: cosa significa per te essere fuori orario e in che modo rappresenta la tua identità musicale e il tuo modo di intendere il clubbing?

N: Sì, in italiano sarebbe letteralmente “dopo le ore di lavoro”, ma per me Fuori Orario significa essere fuori dagli schemi, anti-conformisti. Come dicevi, prima di tutto Fuori Orario è la mia visione personale della musica e del clubbing, che prende forma attraverso gli artisti che invito, le location che scelgo e, naturalmente, anche attraverso la grafica e il design visivo. L’idea centrale è quella di creare eventi lunghi, di 10-12 ore o anche di più, dove i DJ possano esprimersi al 100%. Li organizzo in club a cui sono particolarmente legato oppure in spazi speciali, spesso recuperati dall’abbandono e riportati in vita – un’esperienza che mi piace condividere con i miei amici più stretti. Questa esigenza nasce dalle solite difficoltà legate al mondo dei club: limiti di orario, costi altissimi – soprattutto in Italia – che spesso frenano la libertà creativa. È per questo che la riscoperta di luoghi alternativi, magari dimenticati o in disuso, è diventata per me una scelta fondamentale. Ridare vita a questi spazi rappresenta una vera sfida, ma anche un’opportunità. Un esempio perfetto è la location dove, lo scorso agosto, abbiamo festeggiato i due anni del progetto insieme a Magma, i nostri amici di Benevento. Un altro concetto chiave è la necessità di avere nello stesso evento, quando possibile, sia spazi all’aperto che al chiuso: è importante offrire la possibilità di prendersi una pausa, di rilassarsi, oltre al dancefloor principale. Insieme, negli anni, stiamo costruendo una community di persone con gusti affini, non solo musicali, ma anche sul modo di vivere la festa e la vita in generale.

A: Cross-over è un termine che si usa in ambito musicale per indicare la contaminazione tra generi o l’ibridazione tra più mondi sonori. Per te cosa significa e perché ti si addice?

N: Viviamo sempre di più nell’era della contaminazione – nella musica, ma anche nell’arte, nella cucina e in molti altri ambiti. Oggi l’elettronica è ricca di cross-over relativamente recenti, sviluppatisi negli ultimi anni, che arricchiscono i generi originali con nuove sfumature e prospettive. Se pensiamo agli anni ’80 come alla principale decade incubatrice dei grandi generi elettronici contemporanei – nati dalla disco, dal krautrock e dal synth pop – oggi, grazie a Internet, abbiamo accesso a un archivio musicale che copre più o meno cinquant’anni. Possiamo risalire fino ai Kraftwerk dei primi anni ’70, che rappresentano forse il punto di partenza di tutto questo percorso. Proprio per questo, per me è fondamentale fare una selezione molto attenta prima di arrivare alla scelta finale dei brani. Voglio essere sicuro di perdermi il meno possibile, anche perché i nostri gusti personali sono in continua evoluzione – cambiano rapidamente, e restare curiosi e non dare niente per scontato è l’unico modo per non rimanere indietro.

A: Molti artisti iniziano con un suono più definito e poi sperimentano col tempo. Tu invece hai sempre avuto questa attitudine fluida o c’è stato un momento specifico che ti ha portato a voler superare i confini di genere?

N: In principio si, ci è voluto del tempo per arrivare al suono che volevo, poi da quel momento è stata una continua evoluzione, negli ultimi vent’anni penso di aver attraversato quasi tutti i generi. Poi, in realtà, tutto è il contrario di tutto – come dicevo prima, i nostri gusti sono in costante cambiamento, lo stesso pezzo ascoltato a distanza di tempo ti da sensazioni diverse. Sicuramente, però, uno dei momenti più importanti è stato quando ho iniziato a frequentare Berlino, ormai più di dieci anni fa. E vivere lì, successivamente, ha avuto un impatto fortissimo sul mio stile: c’è chiaramente un “prima” e un “dopo” Berlino per me. Anche se oggi la città è molto cambiata su vari livelli, resterà sempre uno dei pilastri della musica elettronica e del clubbing. È un calderone di idee in continua evoluzione, e continuerà a resistere al passare del tempo.

A: La tua selezione musicale spazia tra techno, wave, new beat, trance, synth pop, EBM, deep house, ma anche downtempo e ambient… Qual è il filo conduttore che lega tutto questo? Cosa cerca Niff quando seleziona un disco?

N: Ho sempre comprato e continuo a comprare tutto ciò che mi piace, senza preoccuparmi dei generi. Forse, nei primi periodi a Berlino, il mio stile era più orientato verso la Deep House e l’Electro, mentre oggi, dopo dieci anni, credo che il mio approccio sia più complesso. Ora posso fare set con mood diversi, a seconda del luogo e del momento in cui suono. Spesso, se ascolto, ad esempio, cento dischi, ne seleziono magari dieci, ma alla fine ne compro solo un paio. A volte, se sono fortunato, qualcuno in più, ma facendo una selezione così estrema è inevitabile, anche se ci sono delle eccezioni. I dischi che restano nel tempo sono quelli che lasciano un segno – è difficile da spiegare. In certi casi, li individui al primo ascolto, ma altre volte è necessario ascoltarli più volte per comprenderli appieno. Il filo conduttore è sempre il mio mood in quel momento preciso. La musica contemporanea, quella degli ultimi anni, mi affascina molto, perché tende a essere più complessa rispetto a quella di venti o trent’anni fa, anche grazie ai continui progressi tecnologici. Tuttavia, preferisco di gran lunga il suono analogico – o anche ibrido – del vinile, che trovo molto più caldo rispetto al digitale, che a volte mi suona troppo freddo. I dischi più speciali sono quelli che voglio ascoltare appena mi sveglio, perché ne sono ossessionato. Spesso sono anche i più difficili da proporre, almeno per me.

Inoltre, realizzo costantemente edit di brani magari pensati originariamente per contesti o finalità differenti. Intervengo sulla durata e sul tempo: elimino le sezioni che non fanno per me, accorcio, allungo, rallento o accelero le tracce in base alle esigenze, ma cerco sempre di preservare il feeling originale del pezzo, evitando di snaturarne l’essenza.

A: Come si prepara Niff prima di un dj set e qual è per te la sua durata ideale? C’è una struttura dietro le tue selezioni o l’improvvisazione gioca un ruolo chiave?

N: Beh, entrambe le cose: quando preparo la borsa, studio una struttura di base, una direzione che penso possa essere quella giusta per l’evento in questione, ma l’improvvisazione è fondamentale per connettermi con la pista, mi piace prendermi dei rischi, poi dipende, a volte sei libero di farlo al 100% e altre no, quindi mi lascio sempre diverse strade aperte. Credo che, durante il peak time, tre ore siano la durata ideale per l’intensità e l’energia che voglio trasmettere, la maggior parte delle tracce che uso, in genere, sono molto dinamiche e concentrate in pochi minuti, il ritmo rimane intenso perché appunto le tracce sono ricche di elementi. Poi, ovviamente, dipende dalla borsa che preparo e da come decido di mixarle. Ovviamente mi piace fare set più lunghi, in occasioni speciali, come in Sudamerica, dove spesso si suona per 7-8 ore, o come l’ all-night-long dell’anno scorso a Roma, al The Magick Bar, il posto che forse preferisco per sperimentare in Italia. Ma devo dire che amo ancora moltissimo fare warm-up, perché partire da zero BPM, con la pista vuota, mi dà una libertà totale nel costruire il set, definire il mood e creare l’atmosfera per chi viene dopo di me, per questa ragione credo che sia il momento più importante e più delicato di una festa.

A: Hai suonato in Corea del Sud e ci tornerai presto per il prossimo show-case di Fuori Orario. Com’è la scena musicale lì? Cosa ti ha colpito di più del pubblico e del modo in cui vivono la club culture?

N: Sono stato diverse volte a Seoul e mi piace molto la cultura coreana in generale – dalla cucina alla moda, alla club culture, ecc. Ho conosciuto molte persone in questi anni con cui cerco di mantenere il contatto, anche se siamo molto lontani – sai com’è, in questa epoca tutto è velocissimo e io non sono una persona che ama stare sui social o chattare online. Sono molto grato ai miei amici Issac e Kijeong Son, che mi hanno dato l’opportunità di fare questo showcase Fuori Orario alla fine di maggio, al Bolero. Ci intendiamo bene su molti aspetti, ed è per questo che collaborare viene naturale e spontaneo – come dovrebbe sempre essere. Per me, questa è una cosa fondamentale, visto che oggi tanti rapporti sono artificiosi e basati solo sulla pura convenienza. Per quello che ho visto, mi sembra che la scena musicale di Seoul sia in continua evoluzione. Hanno una cura maniacale per i club, sia a livello di design che di suono e luci, sono molto precisi e ricercano sempre la perfezione. È davvero difficile notare qualcosa di approssimativo o fuori posto, almeno in tutti i club in cui sono entrato. Credo che questo rifletta anche la loro cultura: in giro per le strade, le persone sono molto rispettose, le strade sono pulitissime, e si percepisce chiaramente che sono un popolo con valori forti. La gente ha voglia di ascoltare DJ internazionali e, davvero, percepisci che sono entusiasti di scoprire nuova musica, che chiaramente in Europa trovi più facilmente. Anche per questo, è uno dei posti dove mi piacerebbe sempre tornare. Per lo showcase del 31 maggio, ho scelto di invitare per la prima volta Kinetic, un DJ catalano che oggi apprezzo molto, con il supporto locale di Issac, una promessa della nuova generazione.

A: E invece in Sud America? Quali differenze hai notato rispetto all’Europa e all’Asia?

N: Non ho ancora avuto il piacere di visitare altri paesi asiatici, e mi manca ancora molto dell’America Latina, ma per quello che ho visto, in generale, e a Seoul in particolare, credo che abbiano in comune il fatto di essere molto lontani dal centro del mercato elettronico del vinile, che si trova principalmente in Europa. Questo rende difficile, per esempio, trovare musica a prezzi accessibili, soprattutto a causa dei costi di spedizione e delle dogane. Fortunatamente, c’è sempre più musica valida disponibile in formato digitale, spesso auto-prodotta direttamente dagli artisti. Questo è molto positivo, perché dà la possibilità a tutti di accedere a queste produzioni, in ogni angolo del pianeta. D’altro canto, in Europa abbiamo forse troppa scelta e, di conseguenza, pare che non apprezziamo ciò che abbiamo, un grande classico. Questo ha reso tutto più “random”, per così dire. Secondo me, bisognerebbe fare più attenzione alla musica e meno ai social. Come ti accennavo prima, il continuo progresso tecnologico ci offre sempre più strumenti e possibilità, sia per scoprire nuova musica che per comporla. Eppure, mi sembra che, invece di sfruttare al meglio queste opportunità, il livello medio della proposta musicale, oggi, si sia generalmente abbassato, c’è troppa roba, un copia-incolla continuo. Tornando al Sudamerica, forse proprio il fatto di essere così lontani dall’Europa fa sì che la gente aspetti con maggiore trepidazione gli artisti europei invitati a suonare, come in Sud Corea. Di conseguenza, sono molto più attenti alla musica, si informano di più, e l’energia che trovi nei party è più genuina. Anche se, in Europa ci sono ancora molte eccezioni, per fortuna.

A: Vedi il tuo percorso sempre più orientato all’estero o hai voglia di lasciare un segno anche nella scena italiana? Se sì, dove?

N: Negli ultimi anni, con Fuori Orario, credo che stiamo lasciando un bel segno nella club culture italiana. La nostra community continua a crescere, e ciò che mi rende più felice è vedere le persone che scelgono di spostarsi per seguirci e vivere insieme questa esperienza. Come dicevo, per me è fondamentale collaborare con persone che condividono una visione musicale e di festa affine alla mia. Ma ci devono essere le condizioni giuste: non mi interessa portare il progetto ovunque, snaturandone il senso solo per “farmi vedere”. Quando però si creano connessioni autentiche, non esistono limiti geografici.
È anche per questo che ultimamente stiamo organizzando più eventi in Italia, ma allo stesso tempo stiamo lavorando per portare il primo Fuori Orario a Barcellona – e non solo.

A: Parliamo dello show-case di Fuori Orario che ci sarà prossimamente a Benevento: c’è una ragione dietro alla scelta di questa location o un collettivo al quale sei particolarmente legato? Come scegli gli artisti che si esibiranno?

N: Sì, l’anniversario dei 3 anni lo faremo di nuovo con molto piacere a Benevento a fine agosto! Michele e tutta la crew di Magma ci hanno dato una grande mano lo scorso anno, e se l’evento è riuscito così bene, tanto è merito loro. Con Michele ci siamo subito trovati in grande sintonia su molte cose, e dopo aver fatto un paio di date insieme, mi è venuta questa idea. Credo che l’anniversario dell’anno scorso ne sia stata la prova: sinceramente non ci aspettavamo che così tanta gente, da tutta Italia, si muovesse per venire a celebrarlo con noi. Condividiamo lo stesso spirito. Essendo una festa di 24 ore, scelgo l’artistico con molta attenzione, pensando alle diverse fasi dell’ evento. Cerco di invitare artisti musicalmente simili tra loro, ma anche diversi nelle loro sfumature, con cui ho anche un bel rapporto di amicizia, perché è fondamentale per creare l’energia di cui ti parlavo. Un altro aspetto a cui teniamo molto per questo tipo di evento è la zona chill-out, un’idea che abbiamo condiviso sin dall’inizio. Facendo una festa così lunga, è essenziale creare diversi ambienti e avere uno spazio dove poter sperimentare e rilassarsi. Questo completa perfettamente la nostra visione della festa.

A: Parliamo della label. Con quale criterio scegli la musica e gli artisti da rilasciare? hai già in programma la prossima release?

N: Preparo una release per volta, preferisco dare la giusta importanza e il giusto tempo a ogni artista, per questo il processo è più lungo, l’obiettivo è che, chiaramente, la musica rimanga nel tempo. La natura anti-conformista dell’etichetta implica una sperimentazione totale, quindi preferisco non avere confini legati ai generi anche nelle uscite, anche per questa ragione lo stile può variare molto da una release all’altra. Sì, siamo un po’ in ritardo, ma la prossima è già in stampa. Il primo solo EP di Italomario, che avete già intravisto nel precedente Various Artists. Saranno 5 tracce molto energetiche che spaziano tra Techno, New Beat ed Electro. Dovrebbe essere fuori per giugno!

A: Dietro questa instancabile ricerca musicale e continua sperimentazione, immaginare la tua prossima evoluzione come artista è tanto difficile quanto stimolante. Hai dei progetti futuri definiti o dei territori sonori nuovi che stai esplorando ultimamente?

N: Questa è difficile… Sì, ci sono delle cose nuove a cui sto pensando, ma sono ancora in fase embrionale, specialmente riguardo Barcellona. Continuo a sperimentare e cerco di tenermi lontano dai trend del momento. In un’epoca in cui tutto cambia così velocemente, è fondamentale pensare in avanti e cercare sempre nuovi territori sonori.

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