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Music

In conversation with: Neuf Voix. “Frequenze per più dimensioni” – il tempo, lo spazio, l’assoluto.

words: Conzuelo Fogante

27.11

In conversation with: Neuf Voix. “Frequenze per più dimensioni” – il tempo, lo spazio, l’assoluto.

In conversation with: Neuf Voix. “Frequenze per più dimensioni” – il tempo, lo spazio, l’assoluto.

“Il Tempo e lo Spazio morirono ieri”, è scritto nel Manifesto Futurista. Le dimensioni si sgretolano. I secoli e l’immensità muoiono. Resta l’assoluto.

Parlando con Neuf Voix (pseudonimo di Elvio Seta) e osservando il suo lavoro, è impossibile non riflettere sui limiti delle dimensioni, dello spazio visibile e della realtà percepibile. Ma nelle sue composizioni, tempo e spazio non vengono mai negati, bensì trascesi.

La sua ultima opera, “Frequenze per più dimensioni”, è un’esperienza “non lineare e quasi fuori dal tempo”, un viaggio assoluto e immersivo che dissolve le coordinate familiari per lasciare emergere nuove dimensioni di ascolto.

Anche il concetto stesso di “ascolto” è riduttivo dinanzi all’Acousmonium ODAE, sistema multicanale avanzato di diffusione sonora, che ha personalmente progettato e prodotto. Attraverso questo impianto, il suono si trasforma in presenza viva, intorno e dentro l’ascoltatore.

In equilibrio tra sperimentazione sonora e narrazione emotiva, Neuf Voix presenterà l’album in anteprima con una performance dal vivo nella Chiesa di San Nicolao della Flue, Milano, il prossimo 28 novembre. Qui, l’esperienza sonora acusmatica trova spazio in un contesto sacro e visionario dall’architettura unica, liberandosi di ogni dimensione secolare e diventando, finalmente, assoluta.

Partiamo dalla location: è la prima volta che la Chiesa di San Nicolao della Flue ospita un concerto di musica elettronica, ma è anche la prima volta che suoni in una chiesa (consacrata) – anche se, effettivamente, con la sua architettura unica dai richiami nautici, vagamente alieni – si presta moltissimo alla sperimentazione e sembra perfetta per ospitare il tuo Acusmonium Odae. Cosa ti aspetti? C’è connessione tra la sacralità del luogo e la potenza del suono?

A dire il vero, non è la prima volta che suono in una chiesa consacrata. Ho già avuto esperienze in contesti sacri, tra cui la Wasserkirche di Zurigo, in Svizzera, dove però il sistema di gestione delle chiese è completamente diverso, c’è molta più apertura ad organizzare eventi di diversi generi in spazi sacri.
La sacralità della musica e del suono ha radici profonde in tutte le culture, e le composizioni o canti sacri sono sempre state al centro delle tradizioni spirituali, da sempre intrecciate con il concetto di trascendenza.

Nel mio lavoro, e in particolare in questa nuova opera, c’è una forte componente spirituale e sacra che emerge non solo dai riferimenti diretti a pratiche religiose, ma anche dall’idea che la musica elettronica, con la sua potenza e capacità di trasformare lo spazio, possa in qualche modo evocare un’esperienza quasi mistica. La scelta di eseguire la prima assoluta di questa opera in una chiesa non è casuale: credo che l’architettura e l’atmosfera di un luogo sacro, come quello di San Nicolao della Flue, possano amplificare e arricchire l’esperienza sonora, facilitare l’impatto profondo trasmesso dai richiami sacri che ho inserito nell’album e creare una connessione profonda tra il sacro e il suono stesso. La sua architettura, quasi aliena, diventa la cornice ideale per un’esperienza immersiva, dove il suono può davvero farsi protagonista, senza barriere, in un contesto che da sempre celebra il mistero e la potenza dell’arte sonora.

L’album è stato sviluppato per un contesto acusmatico. Questo trasforma la percezione del suono in qualcosa di tridimensionale e immersivo – riceviamo l’impulso ma la fonte non è immediatamente individuabile, eppure tutti i sensi si attivano; da un punto di vista cognitivo è molto potente. In che modo questa forma di suono sfida la nostra percezione e crea una connessione più profonda con l’ascoltatore?

Questo approccio crea una sorta di ‘illusione’ sonora, dove il nostro cervello è chiamato a ricostruire e interpretare la provenienza dei suoni, un po’ come farebbe con una conversazione tra più persone in una stanza piena. La percezione di un suono tridimensionale può essere estremamente coinvolgente: si perde quella distinzione tra ciò che è vicino e lontano, tra ciò che è reale e ciò che è prodotto artificialmente.

Questa sfida cognitiva – il fatto che il suono non abbia una fonte immediata e visibile – è anche un’opportunità per il pubblico di entrare in uno stato di ascolto più profondo, dove i sensi vengono attivati in maniera più globale. L’ascoltatore non si limita più a ‘sentire’ la musica, ma diventa parte di essa, in un’esperienza che coinvolge l’intero corpo, non solo l’orecchio. Il suono in questo caso diventa una sorta di ‘spazio’ in cui ci si muove, una dimensione liquida che si percepisce come una presenza viva.

L’acusmatica crea quindi una connessione che è meno razionale e più intuitiva. In questo modo, l’ascoltatore non è più solo un testimone passivo della musica, ma un partecipante attivo in un’esperienza che sfida la percezione e la realtà stessa. Questo può creare una connessione emotiva e mentale molto più intensa, dove il confine tra ‘musica’ e ‘spazio’ diventa sempre più labile.

Immagina di dover ridurre “Frequenze per più dimensioni” a un’immagine. Quale sarebbe e perché?

Per rappresentare visivamente “Frequenze per più dimensioni”, la prima immagine che mi viene in mente è l’ipercubo, di Attilio Pierelli, un oggetto geometrico che esiste in quattro o più dimensioni. Questo perché il concetto di “pluridimensionalità” che pervade l’album non riguarda solo la molteplicità dei suoni e delle texture, ma anche la possibilità di esperire la musica da più angolazioni, in modo non lineare e quasi fuori dal tempo. L’ipercubo è una figura che, pur avendo una struttura ben definita, sfida la percezione umana, rappresentando l’idea di spazi che non possiamo “vedere” ma che intuiamo attraverso la loro proiezione nelle dimensioni più familiari.

Nel mio lavoro, cerco di trascendere le limitazioni dei formati musicali tradizionali, creando una musica che invita l’ascoltatore a esplorare e a muoversi liberamente attraverso strati di suono, simile a come un ipercubo proietta ombre e forme diverse a seconda della prospettiva da cui lo si osserva. Così come un ipercubo è percepito come un’idea più che come un oggetto fisico tangibile, anche la musica di “Frequenze per più dimensioni” si sviluppa su più piani, offrendo nuove possibilità e visioni a ogni ascolto.

La colonna sonora per Ann Demeulemeester suona come un altro capitolo della tua esplorazione sonora. Come si collega l’eleganza della moda al caos strutturato della tua musica?

In questo caso, con il brand Ann D. è stato davvero naturale esprimere quel tipo di caos strutturato di cui parli. La sua estetica, poetica e androgina, minimalista e complessa, ha una qualità di tensione che rispecchia molto la mia musica: apparentemente disordinata, ma in realtà estremamente calibrata e intenzionale.

La relazione tra musica e moda, in questo caso, è un gioco di equilibri. Nella colonna sonora che ho creato per Ann Demeulemeester, ho cercato di amplificare l’intensità e l’ambiguità del suo universo stilistico, calibrandole con le indicazioni e le vibes trasmesse dal direttore creativo Stefano Gallici. Mi sono trovato davvero bene a fondere la mia arte con un brand del genere.

Ciò che sicuramente caratterizza il tuo suono è riuscire a sfruttare le qualità della proiezione sonora multicanale per esplorare gli aspetti più profondi della percezione acustica. C’è anche qualcosa di musica concreta e sicuramente tanta spazializzazione acustica. Quali sono gli elementi fondamentali del tuo metodo compositivo?

Il mio metodo compositivo ha due aspetti principali: da un lato c’è l’esplorazione del suono come materia grezza, manipolato e trasformato, e dall’altro c’è la ricerca di una particolarità armonica e compositiva. L’uso della proiezione sonora multicanale è sicuramente un’aggiunta centrale in questo processo, perché mi permette di espandere il suono in uno spazio tridimensionale, non è solo un effetto tecnico, ma un elemento narrativo e compositivo: il suono può muoversi, evolversi e interagire con l’ambiente in modo tale da creare una nuova dimensione, in cui l’ascoltatore è circondato e quasi ‘fisicamente’ coinvolto nell’opera.

La musica concreta è sicuramente una delle influenze principali della mia ultima opera, ma c’è anche moltissima creazione sonora analogica e digitale, nata dai miei soliti strumenti elettronici. Questi elementi costituiscono la base di ogni composizione, che sia un’installazione sonora o un’opera per concerti multicanale.

Inoltre, molto importante, mi piace lavorare su strutture armoniche complesse. Spingere il pubblico a (ri)esplorare nuove possibilità sonore e compositive, (ri)educandolo a un ascolto più impegnato, non solo nell’apparenza, ma nella sostanza.

Photo courtesy of @inessaarvisire

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