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Music

IN CONVERSATION WITH: MUN SING

words: Nicola Sabatini

18.02

IN CONVERSATION WITH: MUN SING

IN CONVERSATION WITH: MUN SING

Oggi, l’indulgenza è al tempo stesso celebrata e criticata, mentre il confine tra cura di sé e autodistruzione diventa sempre più sfumato. Ci stiamo davvero concedendo il riposo che meritiamo? Oppure quel tempo libero è, in qualche modo, un tradimento silenzioso delle nostre aspirazioni?

Frolic, l’ultimo, visionario EP di Mun Sing, uscito il 7 febbraio, esplora proprio questa contraddizione, trasportandoci in un mondo in cui l’edonismo ha sempre un prezzo. Animando una fiaba surreale e allucinata, il progetto trasforma il piacere in uno spettacolo teatrale, dove ogni eccesso è accompagnato da un’ombra incombente: lo Spaventapasseri dal volto blu.

Come un’eco delle creature che popolavano gli incubi dell’infanzia, questa bizzarra e ironica incarnazione del senso di colpa ci ricorda che nulla è privo di conseguenze—una personificazione vivida di ciò che succede seguendo l’irresistibile impulso a spingersi oltre i limiti dell’indulgenza.

Dal punto di vista sonoro, Frolic cattura il costante tira e molla tra euforia e collasso. L’EP si apre con un’elettricità febbrile—melodie corali, drop esplosivi e l’ebbrezza di un divertimento senza freni. Con il passare della notte, l’eccitazione si sgretola, rivelando un sottotesto più oscuro. Questa trasformazione culmina in brani come Scrolling e The Hypocrite, che riflettono il peso dell’indulgenza quando l’effetto svanisce. Il punto di svolta arriva con Somersault, il pezzo teatrale centrale dell’EP, dove la voce dello Spaventapasseri si manifesta in una beffarda invettiva: “You plead a pregnant passage, yet frolic and frot without consequence!?”

Dopo il suo debutto con Inflatable Gravestone (2023, Planet Mu), Frolic attinge all’immaginario dei concerti pop da stadio e delle narrazioni pantomimiche, abbracciando lo spettacolo teatrale per creare un’esperienza che prende vita sul palco sia visivamente che musicalmente.

Abbiamo parlato con Mun Sing poco prima dell’uscita di Frolic – e subito dopo la sua collaborazione con Björk a Reykjavik e New York. Aspettando i suoi prossimi spettacoli in Asia, Australia ed Europa—dove darà vita allo Spaventapasseri in uno spettacolo di folle ed esaltante—questa conversazione potrebbe essere il modo perfetto per entrare nel suo universo bizzarro e formidabile.

Nella tua precedente pubblicazione, Inflatable Gravestone, hai esplorato il lutto e la dipendenza—emozioni immense e universali. Con Frolic, invece, ti sposti verso l’indulgenza e l’escapismo, temi tanto familiari quanto sfuggenti. Cosa ti ha spinto a questo cambiamento?

Penso che sia nato dal desiderio di fare qualcosa che andasse un po’ oltre me stesso. Con Inflatable Gravestone, stavo guardando molto dentro di me, esplorando la mia storia familiare, le vicissitudini relative a mio padre, e tutto era diventato estremamente introspettivo. Sentivo il bisogno di passare a qualcosa che fosse più aperto.

Con Inflatable Gravestone era come se stessi tenendo uno specchio di fronte a me, mentre con Frolic ho deciso di girarlo dall’altra parte – rendendo il disco più inclusivo per il pubblico, esplorando esperienze condivise piuttosto che limitarmi a quelle strettamente personali.

Inoltre, sento che il tema del divertimento e dell’indulgenza rappresenti, almeno per me, il passo successivo nel processo di elaborazione del lutto. Dopo quei momenti intensi e dolorosi di riflessione, arriva un punto in cui bisogna concedersi un po’ di leggerezza, lasciarsi andare. Per me è stato un passaggio naturale – dal lutto a un’esplorazione del lato più giocoso della vita.

E poi, sì, l’idea di questo spaventapasseri punitivo, quasi fiabesco, serviva anche a mantenere un tono divertente e un po’ più leggero, ma continuando ad affrontare temi profondi e complessi.

Parliamo un po’ dello spaventapasseri. È una figura inquietante, ma allo stesso tempo sembra qualcosa che esiste dentro ognuno di noi. Perché hai scelto proprio questa immagine come volto di Frolic? Cosa rappresenta per te?

Penso che fosse importante creare un personaggio che incarnasse il senso di colpa e l’indulgenza che proviamo quando ci divertiamo. Da adulti, tendiamo a caricarci da soli di queste emozioni – cresciamo senza più credere all’uomo nero o alle creature delle fiabe che ci spingevano a comportarci bene, ma allo stesso tempo iniziamo a interiorizzare un forte senso di colpa e vergogna quando non ci comportiamo come dovremmo. E questo può diventare molto pesante.

Forse deriva anche dalle mie esperienze e dall’aver imparato di più sulla dipendenza, ma credo che sia utile avere un’entità esterna – che sia un potere superiore nei dodici passi della recovery o semplicemente qualcosa fuori da noi stessi – per aiutarci a rimanere in carreggiata o a tirarci fuori da un ciclo di indulgenza. Avere questa figura, questa incarnazione fisica, è stato un modo per alleggerire un po’ quella pressione. Quando vogliamo indulgere, lo Spaventapasseri è lì per riconoscerlo – ma, dall’altro lato, può anche aiutarci a sentirci “in riga”.

Inoltre, ho trovato l’idea piuttosto divertente – mi ricorda le storie della buonanotte o le pantomime teatrali. Non abbiamo più questo tipo di figure da adulti, e quindi mi è sembrato interessante ricrearne una. Magari qualcuno può persino immaginarlo mentre è in un club dopo qualche drink di troppo, o mentre si lascia prendere dall’ennesimo episodio su Netflix fino a notte fonda.

Per me, poi, questa scelta aveva anche a che fare con i suoni del disco. Li trovavo molto visivi e fisici, e volevo creare un personaggio che potesse essere associato a quelle sensazioni. Di solito, nella musica elettronica non c’è molta narrazione – si tratta più che altro della musica in sé e della funzionalità dei suoni. Ma io sono davvero affascinato dalle storie e dai racconti, e volevo riportare un po’ di questo elemento nella dance music. È qualcosa che vedo sempre meno, ed è un peccato –ma forse è anche naturale che sia così.

Frolic ci offre delle risposte o solleva solo nuove domande su questi temi? Dovremmo scappare dallo Spaventapasseri? Diventarne amici? O addirittura indossare i suoi panni, come fai tu sul palco?

Domanda interessante. Questa parte è davvero aperta all’interpretazione. Solo il fatto che lo Spaventapasseri esiste è qualcosa con cui il pubblico può fare ciò che vuole. Può essere un nemico – del tipo “Devo bere un altro drink prima che lo Spaventapasseri mi trovi”, oppure una sorta di angelo custode – “Non voglio far arrabbiare lo Spaventapasseri che è dentro di me, voglio comportarmi bene.”

In entrambi i casi, si tratta di riconoscere il senso di colpa interiorizzato, dargli una forma e lasciarlo prendere vita come personaggio. Non saprei dire se questo fornisce risposte o solleva più domande, ma credo sia importante sapere che esiste.

Potrebbe anche succedere che qualcuno riconosca lo Spaventapasseri e dica “Ok, esiste – chi se ne frega”, e lo ignori per il resto della sua vita. E questo è qualcosa che facciamo spesso, credo. Ma poi diventa più difficile quando iniziamo a sentirci in colpa per averlo ignorato.

Quindi sì, lo vedo più come una guida – ma resta completamente aperto all’interpretazione. E alla fine è anche solo un gioco. Spero che possa aiutare qualcuno, ma soprattutto serve a ricordare che questi sentimenti non devono restare chiusi dentro di noi. Vergogna e senso di colpa non sono i migliori motori per il cambiamento, no?

Penso sia meglio lasciarsi guidare da qualcosa di positivo, piuttosto che cercare di fuggire da qualcosa di negativo. Possiamo tenere sotto controllo questi impulsi negativi dandogli una forma, facendoli diventare un personaggio.

Parlando del tuo processo creativo, la tua musica è allucinatoria e giocosa, molto personale ma completamente sopra le righe. Come trovi l’equilibrio per trasformare le tue esperienze in un sound così energico e imprevedibile?

Ne parlavo con qualcuno proprio l’altro giorno. Credo di essere una persona piuttosto intensa, ho sempre pensieri molto forti sull’arte e sulla musica – e incanalarli nel mio processo creativo mi fa stare bene. Che sia sul palco o mentre compongo, penso che questa energia e intensità mi aiutino a sentirmi meno così nella mia vita quotidiana. Mi bilancia.

Per me è anche un modo per indulgere in queste idee. E ancora, l’ho già detto altre volte, ma sono quasi ossessionato dall’idea della vulnerabilità e di come possa essere condivisa attraverso l’arte – di mantenere vivo questo scambio con le persone. Penso che possano accadere cose incredibili quando si condivide vulnerabilità e onestà, e mi sento fortunato a poterlo fare attraverso la mia musica.

Inoltre, per me è importante che tutto abbia un aspetto quasi da taccuino di schizzi – niente di troppo rifinito o levigato. Mi piace quando si percepisce l’elemento caotico, umano, dietro l’arte. Questo rende l’opera stessa più vulnerabile, aperta all’interpretazione ma anche alla misinterpretazione – che credo sia altrettanto importante.

Alla fine, penso che l’intensità sia semplicemente una parte di me. In realtà, mi fa sentire più rilassato nella vita di tutti i giorni. E forse è anche un bene per i miei amici e la mia famiglia che io abbia qualcosa in cui canalizzarla.

Con Frolic, le tue performance dal vivo introducono elementi di narrazione su larga scala e influenze dalla pantomima. Suonare dal vivo influisce sul tuo approccio alla produzione?

È interessante rispondere a questa domanda, perché mi costringe a rifletterci su e, a volte, le risposte diventano più chiare proprio mentre ne parlo. E penso che sia esattamente quello che accade con il live show.

Di solito cerco di tenere le due cose separate – quando scrivo, mi concentro semplicemente sul creare canzoni che mi sembrano valide. Poi, quando arriva il momento di presentarle, non lo vedo come una sfida, mi viene naturale, del tipo “Le eseguirei in questo modo”.

Preferisco di gran lunga avere concetti o temi che guidano la narrazione di ogni disco, perché mi aiutano a trovare risposte quando qualcosa inizia a sembrare troppo tecnico. Se mi capita di pensare “Non so come farlo” o “Qual è il modo migliore per presentarlo?”, faccio un passo indietro e considero il contesto generale del disco.

Non deve essere necessariamente una questione tecnica – si tratta solo di capire come trasmettere al meglio ciò che voglio comunicare. Con la musica elettronica, ci sono tantissimi modi per farlo, il che è sia un vantaggio che uno svantaggio. Ma sto cercando di abbracciare sia i limiti che l’infinità di possibilità che offre. Lavoro meglio quando ho dei limiti ben definiti – che siano tecnici o concettuali – perché mi aiutano a rimanere concentrato. Con la musica elettronica puoi fare così tante cose che è facile perdere il focus.

Quindi, per me, tutto parte sempre da un concetto o un’idea – qualcosa su cui sto riflettendo. Poi cerco di far sì che la musica lo rifletta.

Puoi darci qualche anticipazione su cosa aspettarci dai tuoi live, in termini di coinvolgimento del pubblico?

Fondamentalmente, voglio creare uno spazio in cui le persone possano sentirsi coinvolte e vulnerabili allo stesso tempo. Per me si tratta di entrare in connessione – mostrando la mia vulnerabilità, spero che anche il pubblico possa sentirla e aprirsi con me durante il live.

La vedo così: se sei la persona più ‘sciocca’ nella stanza, se sei quello che balla nel modo più impacciato, allora il secondo peggior ballerino non si sentirà altrettanto in imbarazzo. Questo è qualcosa che cerco di portare nei miei spettacoli. Voglio far rilassare tutti. Se io sono lì, con il volto dipinto di blu, vestito da spaventapasseri, quasi in lacrime, allora qualunque cosa stia facendo qualcuno tra il pubblico non sembrerà mai così ridicola o imbarazzante.

Questo è il mio modo di coinvolgere il pubblico, di dargli forza. Se posso rendermi ridicolo di fronte a centinaia di sconosciuti, allora qualunque cosa stiano facendo loro sicuramente non è poi così grave. E attraverso questo processo, spero di creare un legame, un senso di vulnerabilità condivisa e, magari, di dare un po’ di coraggio alle persone. Penso che sia questo che intendo per “partecipazione del pubblico”.

Moda e musica spesso si intrecciano, nel tuo caso hai composto per le sfilate della fashion week. Quali sorprese creative – o difficoltà – hai incontrato collaborando con Acne Studios? Ti vedi a esplorare ancora questa connessione in futuro?

Mi è piaciuto moltissimo lavorare con Acne. È stata una nuova sfida e ho imparato davvero tanto.

Penso che sia stato utile per me perché mi ha aiutato a mettere da parte l’ego nel processo di scrittura. Quando lavori con un brief – dove i concetti e gli obiettivi non sono necessariamente i tuoi – sei costretto a essere più ingegnoso e meno attaccato alle tue idee. Se fosse stata la mia etichetta di moda, con i miei vestiti, probabilmente avrei pensato troppo a tutto. Avrei stabilito un sacco di regole, mi sarei sentito in dovere di comunicare ogni singolo aspetto di me in un unico brano per la passerella.

In questo caso, invece, è stato bello lasciare che fosse semplicemente la musica a parlare. Fidarmi di me stesso e delle decisioni che prendevo, senza sentire il bisogno di inserirmi continuamente nel progetto. Invece di pensare “Questo suono non è proprio mio”, ho potuto semplicemente fidarmi del fatto che mi avevano chiesto di farlo per una ragione. Se si adattava al brief, perfetto – se non lo avesse fatto, allora sarebbe stato quello il vero problema.

Quindi sì, ho davvero apprezzato il processo di scrittura. Mi ha aiutato a pensare meno e a non bloccarmi, mantenendo un buon ritmo e una certa spontaneità nella composizione. Inoltre, il fatto che mi piaccia molto ciò che fa Acne ha reso tutto più interessante – sentivo di avere un investimento personale nel progetto e volevo rendere giustizia alla collezione. Avevo una visione di come tradurla in musica, e la maggior parte delle volte ci ho azzeccato.

Avere questa fiducia reciproca è stato incredibile. Nel complesso, è stata un’esperienza fantastica e ho imparato molto. Mi piacerebbe sicuramente fare di nuovo qualcosa del genere.

Parlando di collaborazioni, nella realizzazione di Frolic hai lavorato con Katy Ketani, MX World e ROOO. Inoltre, quest’anno è iniziato con un’esperienza inaspettata: collaborare con Björk. Come è nata questa collaborazione? E cosa cerchi in un partner artistico?

Quando si parla di collaborazioni artistiche è difficile dare una risposta netta. Gli artisti che hai menzionato sono tutte persone che rispetto molto. Amo la loro musica, il loro approccio alla scrittura e il modo in cui pensano alla melodia. In questi casi, siccome erano parte di un mio progetto, è stato più semplice capire se il loro stile potesse adattarsi alla visione che avevo in mente.

Mi piace molto lavorare con artisti che non sono troppo radicati in una sola scena o estetica – quando non senti ogni cosa che fanno attraverso un filtro stilistico ben definito. Ad esempio, se collabori con qualcuno come Bladee – che tra l’altro trovo fantastico – ci sono così tante associazioni culturali legate al suo lavoro che è difficile separarlo dal suo suono e dal suo universo creativo. Se ascolti una canzone con Bladee, penserai inevitabilmente al mondo che ha costruito attorno a sé – è una presenza così forte che può quasi sovrastare una visione condivisa.

Volevo lavorare con artisti la cui estetica fosse o completamente diversa dalla mia, o così autonoma da non prendere il sopravvento sulla collaborazione. Per me, si tratta sempre e solo della musica e dello stile vocale, e penso che gli artisti con cui ho lavorato in Frolic abbiano interpretato questo perfettamente. È una questione di scrivere buona musica, ed è sempre stato ciò che mi ha interessato di più.

In sostanza, cerco di collaborare con persone che condividano un obiettivo creativo simile al mio –persone con cui mi sento in sintonia a livello di melodia e scrittura. Quando ascolto la musica di Katy Ketani, MX World o ROOO, spesso penso: “Oh sì, avrei fatto anche io questa scelta”, oppure “Vorrei aver avuto io quell’idea”. È più un sentimento di apprezzamento che il desiderio di estrarre qualcosa da loro e inserirlo nel mio lavoro – a volte nelle collaborazioni succede anche questo.

A dire il vero, cerco di stare attento a non cadere in questa trappola. Mi capita di ascoltare artisti che ammiro e pensare: “Mio dio, sono incredibili, voglio assolutamente lavorare con loro”. Ma poi mi fermo e mi chiedo: voglio davvero collaborare, o è solo il mio ego maschile che mi dice che devo essere parte di quello che stanno facendo?

Perché la verità è che non hanno bisogno di me, e io non ho necessariamente bisogno di loro. Puoi benissimo apprezzare l’arte di qualcuno senza sentirti obbligato a farne parte. Questo è qualcosa di cui sono sempre più consapevole – ci sono artisti molto conosciuti con cui sono in contatto e che rispetto moltissimo, ma ciò non significa che dobbiamo collaborare per forza. Si può semplicemente ammirare il lavoro di qualcuno senza volerlo per sé.

L’esperienza con Björk invece è stata incredibile. Ovviamente sono un suo grandissimo fan. Mi ha invitato a esibirmi con lei una o due volte e ho avuto modo di trascorrere un po’ di tempo con lei. È stato un sogno che si avvera. È una persona estremamente intelligente e calorosa, e mi sento davvero fortunato che abbia supportato il mio lavoro.

Ci sono altre collaborazioni da sogno – non solo in musica, ma anche in arte o moda – che ti piacerebbe esplorare?

Sai una cosa? Me lo hanno chiesto un sacco di volte, ma sono un po’ superstizioso su queste cose. Non voglio rovinare tutto dicendo nomi – e se poi non succede? O peggio, se queste persone dovessero leggere la mia risposta e pensare “Non sta giocando bene le sue carte, non è abbastanza vago e misterioso”?

Quindi la mia risposta “cool” sarebbe… boh. Dovrei pensarci a lungo. Certo, ho degli artisti dei sogni, persone che amo tantissimo. Ad esempio, i Blur sono una delle mie band preferite, quindi mi piacerebbe lavorare con Damon Albarn in qualche modo. Ma poi, quando ci penso, mi chiedo: “Che senso avrebbe? Come suonerebbe?”

Nessuno sta davvero chiedendo questa collaborazione – tranne me e forse il me stesso bambino. Un altro nome è Kate Bush, sarebbe pazzesco. Ma torniamo al discorso di prima: solo perché sono i miei artisti preferiti, non significa che debba per forza condividere con loro un progetto creativo. Posso semplicemente apprezzarli e restare un grande fan.

Non voglio dire che rifiuterei mai una collaborazione con loro – ovviamente no. Ma ha davvero senso che io collabori con Damon Albarn?

Sono solo persone che rispetto e amo profondamente. Probabilmente ripenserò a questa domanda per giorni, ma l’unica risposta che riesco a darti adesso è… Blur, credo.

Che è una pessima risposta.

Tornando a Frolic, questa è la tua prima pubblicazione personale su Illegal Data, l’etichetta che hai co-fondato. Che effetto fa avere il pieno controllo creativo? Lo consideri un passo avanti per te, non solo come artista, ma anche in un senso più ampio?

Ad essere sincero, sono stato davvero fortunato con tutte le mie pubblicazioni precedenti, perché ho sempre avuto pieno controllo creativo. Quindi, devo un grande rispetto a Planet Mu, Subcult, Infant Machine – mi hanno sempre lasciato fare quello che volevo. Mi sento molto fortunato, forse persino viziato, sotto questo aspetto.

Ma sì, pubblicare questo disco in modo indipendente è un’esperienza che rispecchia perfettamente i temi dell’indulgenza affrontati nel disco. Dopotutto, cosa c’è di più indulgente che pubblicare la propria musica sulla propria etichetta? Trovo che ci sia qualcosa di ironico e divertente in questo.

Seriamente parlando, però, sia esteticamente che musicalmente, questo disco si sposa alla perfezione con l’identità dell’etichetta. Sono davvero orgoglioso di quello che io e Arthur – con cui gestisco Illegal Data – abbiamo costruito e coltivato. Siamo entrambi grandi fan degli artisti che abbiamo pubblicato, quindi per me è un privilegio essere parte della stessa realtà.

Anche se gestisco l’etichetta, mi sento comunque in buona compagnia, condividendo gli stessi valori. Tutti gli artisti dell’etichetta non si prendono troppo sul serio, ma prendono molto sul serio la loro arte. E in questo equilibrio tra musica da club, divertimento, serietà e indulgenza, a un certo punto ho realizzato che è esattamente ciò che faccio anch’io nella mia musica.

Quindi, aveva senso vedere come il mio lavoro sarebbe stato recepito attraverso un’etichetta che ho contribuito a plasmare. Se avessi pubblicato il disco con un’altra label, sarebbe stato filtrato attraverso la loro visione. Ma con questo progetto, avevo costruito un universo visivo così forte attorno ad esso che non volevo che nulla interferisse con questa visione.

Quali sono i prossimi passi per Mun Sing? C’è il tour dell’album, e poi? Hai già in mente qualche nuovo progetto?

Farò un tour per promuovere Frolic da febbraio a maggio. Suonerò con Machine Girl in Europa e nel Regno Unito, oltre a esibirmi in alcuni show da solista e a fare qualche data negli Stati Uniti. Quindi, tra ora e l’estate, mi esibirò nei panni dello Spaventapasseri – e ovviamente anche nei miei – tra Europa e Regno Unito. Sono davvero entusiasta.

E poi, sì, ci sono un paio di altre cose che potrebbero uscire… ma vedremo. Per la maggior parte dell’anno, comunque, sarò completamente in Scarecrow mode.

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