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Art

IN CONVERSATION WITH: Kenny Scharf

words: Barbara Gagliardi

11.09

IN CONVERSATION WITH: Kenny Scharf

IN CONVERSATION WITH: Kenny Scharf

Noto per il suo immaginario colorato e travolgente, capace di fondere fantascienza, cultura pop e visioni psichedeliche, Kenny Scharf continua a portare il suo universo artistico in giro per il mondo. In occasione della mostra “EMOTIONAL” al MAM di Shanghai, l’artista newyorkese racconta come emozioni, fantasia e critica sociale convivano nel suo lavoro, capace di parlare tanto al pubblico giovane quanto a chi cerca significati più profondi. In questa conversazione a New York, Scharf riflette sulle sue origini, sul dialogo con la cultura contemporanea e sull’energia che lo spinge a reinventarsi costantemente.

foto di Clara Melchiorre

“EMOTIONAL” è il titolo della mostra al MAM di Shanghai. Quale aspetto emotivo del tuo lavoro pensi risuoni di più con il pubblico cinese?

Tutte le emozioni. Non ce n’è una senza l’altra, perché senza tristezza non esisterebbe la felicità. La mostra al MAM Shanghai presenta il mio lavoro diviso in sei emozioni, e tutte entreranno in risonanza con il pubblico. Il Kenny Scharf Beach Club, ideato dal curatore Shai Baitel, permette poi ai visitatori di immergersi in un piccolo mondo fantastico fatto delle mie sculture e installazioni.

Il tuo linguaggio visivo fonde fantascienza, cartoni animati e psichedelia. Da dove nasce questo universo e cosa significa nel mondo iper-digitale di oggi?

Questo universo nasce dalla mia infanzia. Crescendo a Los Angeles […] ero circondato da […] design e architettura che celebravano il futuro in modo fantastico: auto con le pinne, edifici che sembravano stazioni spaziali. Questi sono i miei primi ricordi. E poi, naturalmente, negli anni ’60, mentre ero bambino, è nata la psichedelia.
E cosa significa oggi quell’universo? Non so bene cosa significhi. Però il fatto è che funziona davvero sul piccolo schermo luminoso. Quindi la mia immaginazione, che ho sempre espresso, in realtà si traduce molto bene sullo schermo digitale.

Esporre il tuo lavoro a Shanghai significa confrontarsi con una scena culturale giovane e in rapida evoluzione. Che tipo di energia hai percepito da questo ambiente?

Amo sempre l’energia dei giovani. La trovo fonte di ispirazione. E sono anche felice che i giovani, a loro volta, si sentano ispirati dalla mia energia.

Il tuo lavoro trasmette spesso un’energia giocosa, ma porta anche con sé un lato critico. Quanto del tuo caos visivo è un commento sociale o politico?

Tutto racchiude un po’ di tutto. Inserisco sempre ciò che mi preoccupa riguardo al mondo che mi circonda, che ci circonda. Ma voglio anche farlo in un modo gioioso, che ti inviti a entrare grazie ai colori e alle forme. Questo può dare allo spettatore la possibilità di scegliere: provare puro piacere oppure andare più a fondo, se lo desidera.

L’arte pubblica e non convenzionale è sempre stata centrale nella tua pratica. Come affronti invece l’esposizione all’interno di uno spazio museale, più “controllato”?

Non faccio differenze tra gli spazi. Non sono loro a dettare l’opera in sé. In qualunque luogo io mi trovi, do sempre il massimo.

Il tuo universo visivo è popolato da personaggi e icone ricorrenti. Se potessi dar vita a uno di loro, quale sarebbe e perché?

Beh, la risposta è: li porto già in vita. È proprio quello che faccio. E dipende dall’umore quale scelgo di incarnare.
Ma se dovessi averne uno vivo e presente accanto a me, direi quello felice. Non quello spaventoso. Ecco qui.

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