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Fashion

Horny Jail: FASHION NEEDS SEX

words: Alessandro Milzoni

curated by Gianluca Gagliardi

07.10

Horny Jail: FASHION NEEDS SEX

Horny Jail: FASHION NEEDS SEX

1 mese, 4 settimane, 4 città, ma ancora parlare di sesso senza arrossire sembra difficile. New York e Londra manifestano una libertà (o forse un ascolto) sessuale rispetto a Milano e Parigi, ancora troppo ancorate ad un culto del bello che a tratti sembra polveroso.

Quando lo scorso 4 settembre è iniziato il cosiddetto Fashion Month, coltivavo dentro di me la speranza che le successive settimane di sfilate e presentazioni avrebbero potuto far arrossire anche il più disinibito degli editor. Non che mi aspettassi fotoromanzi porno o defilé orgiastici, ma quel minimo di confidenza sessuale che nel 2024 dovrebbe essere più che raggiunto. Devo dire la verità: prima con New York e poi con Londra la speranza in una nuova rivoluzione sessuale stava flebilmente crescendo, raccontando una sex positivity molto incoraggiante (che Mark Zuckerberg si metta il cuore in pace). Ma l’arrivo della Settimana della moda milanese ha stroncato ogni lieve impulso che dai lombi si faceva strada attraverso gli spessi strati di perbenismo e pudicizia, che David Martin ha condensato in una citazione condivisa da Style Not Com: “FASHION NEEDS MORE SEX”.

Ma andiamo con ordine.

La New York Fashion Week, nonostante non abbia più una grande rilevanza nei parametri del lusso e del mercato, ha snocciolato una serie di nomi nuovi e meno nuovi degni di essere inseriti in questa rubrica.

Se Willy Chavarria ci ha fatto sospirare quando ha fatto uscire Mahmood a petto nudo, Area ha saputo come interpretare la lussuria attraverso l’ironia. Mani, mani ovunque. La collezione Fall Winter di Area (nell’ottica del see now – buy now, adottata eccezionalmente in questa fashion week) conteneva molti riferimenti all’estetica kinky, riferimenti al bondage, pelle e mani che si insinuavano in ogni pertugio che la fantasia possa individuare. Inoltre, ha collaborato con l’app di incontri Tinder per diffondere consapevolezza riguardo al corpo e sostenere associazioni per i diritti sessuali e riproduttivi di tutti coloro che non ricevono l’adeguata assistenza. Anche LaQuant Smith e America Universo hanno presentato alcuni look un po’ più fetish – un po’ alla Belle De Jour o alla Edward Mani di Forbice – caratterizzati da trench o completini bon ton ma fatti interamente di lattice o utensili bondage-sado dall’aspetto ermetico.

Tutt’altro ragionamento quello di Collina Strada: se per alcuni la libertà la si raggiunge con la sex consciousness, per questo brand la si raggiunge attraverso la più totale inclusività. Inclusività di corpi, di colori della pelle, di generi, di età e chi più ne ha più ne metta. Certo non è mancata una buona dose di impatto ormonale data dal sexy giardinerie verso la fine della sfilata.

BALENCIAGA SS25

Willy Chavarria SS25

LaQuan Smith SS25

America Universo SS25

La London Fashion Week sembra (finalmente) suonare tutt’altre corde: quelle che ci fanno vibrare il perineo di curiosità ed eccitazione, quelle che ci fanno avvampare di pudore senza però riuscire a staccare gli occhi. Quelle che ci fanno chiedere: sono troppo bigotto o uno schifoso pervertito?

Sul podio della rubrica Horny Jail troviamo per forza di cose al primo posto il brand nato appena un paio di anni fa Di Petsa. La collezione “My Body is a Labyrinth” disegnata per la SS25 è un’ode alla libertà del corpo e alla concretizzazione del mito, arrivando alla completa consapevolezza attraverso la sessualità. “Free the Nipple” è il sottotesto valido sia per le uscite maschili che femminili che neutre. Il sexy tedoforo ha infiammato letteralmente la passerella (e mi ha risvegliato la passione per le Olimpiadi) e prima di lui abbiamo visto al secondo look delle sfiziosissime pinze per capezzoli. Ma la cosa che più mi ha colpito, con un intrinseco messaggio politico di autodeterminazione e di evoluzione sessuale (e non di rivoluzione), è stata la masturbation pocket borchiata presente in alcuni look. Un grido di riappropriazione del proprio corpo che purtroppo nel 2024 è ancora bene urlare. Grido con cui anche il brand Sinéad O’Dwyer ha squarciato la London Fashion Week.

Anche se più che sesso, la sua sfilata urlava amore: amore per sé stessi e amore per il prossimo. Amore per chiunque. Amore per ogni persona che ci vada di amare.

DI PETSA SS25

I potenti pomiciamenti, rigorosamente queer, facevano da cornice ad una collezione fluida e libera intitolata “Everything Opens To Touch”. Ma i punti più hot di queste settimane li hanno raggiunti anche brand meno mainstream come Grace Ling e le sue clutch a forma di fondoschiena, la moda sexy di Mowalola, i look queer-punk di Chopova Lowena, Harri e l’uso spasmodico del lattice per creare chimere della prossima estate, o Natasha Zinko e il suo gusto per una sessualità più esplicita, ma più nascosta nei sotterranei bui di qualche club.

DI PETSA SS25

Mowalola SS25

Natasha Zinko SS25

Questa spirale ascendente di Horny Jail, di sessualità più o meno raccontata, che stava trovando il suo culmine nella Settimana della Moda di Londra, è stata purtroppo costretta a interrompersi con l’inizio di quella di Milano.

Ancora una volta la società perbenista, medio borghese e democristiana che popola il territorio italiano non ha lasciato scampo a valori contemporanei (ma eterni) come la libertà, la sessualità, la consapevolezza e l’autodeterminazione. Rimane difficile, tuttora, per un brand del lusso e non, separarsi dal concetto di convenzionale per abbracciare quello dell’interrogazione e della messa in discussione. Ovviamente tutto il Made in Italy e il sistema moda italiano basa le sue fondamenta su una tradizione di bellezza e di ben fatto che, ovviamente, per garantirne la sopravvivenza, non può venire meno. Ma si può parlare di valori meno convenzionali e mantenere la bellezza. Basta volerlo.

Dunque, dov’è la denuncia?

La moda italiana ha veramente qualcos’altro da dire oltre ai vestiti? Forse, nonostante si professi antesignana dell’avanguardia, non è poi così disposta a rinunciare al proprio status per scendere laddove esistono persone che lottano per ottenere basilari diritti civili, per chiedere l’abbattimento delle barriere architettoniche, per ottenere la cittadinanza nel paese dove si è vissuto per oltre vent’anni. Ma non tutto è perduto: un barlume di speranza ce lo dà Marco Rambaldi, che con la sua sfilata-manifesto racconta a Milano valori come l’inclusività, varietà (più che diversità) e il senso di famiglia – con l’accezione queer. Ma anche Alchètipo by Andrea Alchieri, presentato a LineaPelle, la sua collezione Cinema’s Chorus che, con l’escamotage della magia, racconta un mondo oscuro, un mondo non definito, quindi un mondo del possibile.

Marco Rambaldi SS25

Marco Rambaldi SS25

Con Parigi, contrariamente a quanto sostiene il New York Times, la situazione non migliora granché. Anche se si può certamente dire che un rapporto con il sesso migliore del mercato italiano, ce l’ha. A partire dai corsetti di Schiaparelli, all’intimo intrecciato di Balenciaga, passando per le trasparenze di Stella McCartney e Victoria Beckham che sì, mostrano il corpo e le grazie, ma che non raccontano di sessualità espressa, di kinks o di horny jail (al massimo di una escort di Park Avenue).

Ma preferisco concentrarmi su quello che è stato rispetto a quello che è mancato. Questo fashion month purtroppo non ha entusiasmato, anzi, ha scatenato critiche al vetriolo per la piattezza di alcune presentazioni. Il sentimento generale è che questa moda non stia al passo con quello che accade nel mondo e che non racconti la società contemporanea. Anzi, forse non racconta proprio nulla.

Ma, quindi, mi chiedo: sarà che per vedere la moda reale, l’espressione di qualcosa che ci accomuna e non ci giudica, la rappresentazione di quello che succede intorno a noi, bisogna guardare altrove e non più alle sue torri di alabastro?

BALENCIAGA SS25

Stella McCartney SS25

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