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Music

Alla sorgente del suono con Nyege Nyege Festival

words: Carolina Camurati

04.01

Alla sorgente del suono con Nyege Nyege Festival

Alla sorgente del suono con Nyege Nyege Festival

Premetto che non è facile impresa quella di descrivere a parole Nyege Nyege festival senza tradirne la natura di evento spettacolare, vibrante – ci muoviamo infatti nell’indicibile registro della fantasonica, come la descrive Kodwo Eshun in Più brillante del sole (Nero, 2021), in un viaggio in fondo al linguaggio che ribalta le tradizionali categorie della cultura alfabetica per fare dell’espressione, anche musicata, un evento sociolinguistico e nel contempo un atto afrofuturista… in radicale rottura con il tradizionale paradigma spaziotemporale e performativo. Sfidando questo limite intrinseco, poiché Nyege Nyege non è solo un festival ma un’esperienza totale, un lifestyle, proviamo lo stesso a raccontarvene qualche traccia.

Dal 14 novembre la città di Jinja, in Uganda, si è a dir poco animata per la nona edizione del Festival Nyege Nyege, l’attesissimo appuntamento annuale che mixa creativamente musica, arti e cultura, e che ha raccolto, in un’unica venue vicinissima alla Sorgente del Nilo e affacciata sul Lake Victoria, 7 palchi e centinaia di show e showcases nel contesto esclusivo ed esplosivo di un Carnevale afrogalattico: intrattenimento non-stop per quattro giorni consecutivi in un melting pot di celebrazione della biodiversità panafricana.

In apertura al festival, l’Onorevole Rebecca Kadaga, la vice Primo Ministro, che ha visitato gli spazi del Golf Jinja Course accompagnata dal ministro regionale del turismo e da diversi funzionari governativi, tra cui i commissari distrettuali residenti e i capi di Busoga, assicurando i frequentatori del Nyege Nyege che continuerà a sostenere l’evento, convinta che esso svolga un ruolo significativo nel valorizzare e promuovere sia l’Uganda che la regione stessa. Derek Debru, uno dei main organizers, ha ringraziato Kadaga per il suo rilevante supporto, che permette a Nyege di stagliarsi come il più grande evento di tutta l’Africa orientale.

Originariamente concepito nel 2015 come festa tra intimi e conoscenti per lanciare talenti emergenti della scena musicale della capitale Kampala, Nyege Nyege è poi diventato un festival e, successivamente, una, anzi, due etichette di produzione: un ecosistema musicale inclusivo soprattutto verso forme espressive non convenzionali che Arlen Dilsizian, altro creativo co-fondatore del festival, definisce cultura outsider, ovvero, “musica ed espressione artistica che non hanno una casa pronta, né nel paese d’origine, né all’estero”. Tutto ciò si riflette nel senso di ospitalità e di pluralità etnica che da sempre caratterizza l’Uganda: essa sola vanta infatti 56 tribù e innumerevoli stili musicali. Quest’anno sono poi è stato dato spazio alle subculture africane in esilio in Uganda, tra cui artisti rifugiati sudanesi, congolesi, eritrei, burundesi ed etiopi. Nyege Nyege chiama alla pace tra i popoli tramite questo insaziabile, irresistibile bisogno di stare bene, trovando le basi della coesistenza attraverso la musica, e oggi attrae persone da tutta l’Uganda, dal continente, dal resto del mondo.

Anche questa volta, come pure nelle precedenti edizioni, sono state mosse svariate critiche da parte di leader religiosi conservatoristi circa i costumi e gli atteggiamenti provocatori e provocanti tipici più della cultura occidentale che di quella locale, eppure, ciò non ha ostacolato lo svolgimento del festival e anzi, il commissario cittadino di Jinja ha incoraggiato i commercianti, soprattutto i piccoli artigiani, a massimizzare le vendite, di modo da far fruttare al meglio le loro offerte e mettere in risalto allettanti prodotti locali. Ciò comunque dimostra quante siano ancora le tensioni sottostanti allo svolgimento di un festival di questa portata all’interno del complesso clima socio-politico ugandese. Secondo la comunità imprenditoriale presente al festival comunque questa edizione è stata a dir poco frizzante e la location in prossimità della città ha consentito di irrorare il territorio con ritorni abbondanti in termini di economia ed entusiasmi.

Quest’anno si è distinto per la nuova sede: la location del Jinja Golf Course, più piccola e accessibile rispetto a edizioni precedenti, ha creato un’atmosfera intima, favorendo legami più profondi tra partecipanti, artisti, commercianti e addetti ai lavori.

La sicurezza al festival ha raggiunto livelli senza precedenti, con un team multi-agenzia che ha coinvolto Personale di Polizia, del Capo dell’Intelligence Militare, dell’Organizzazione per la Sicurezza Interna, del Comando delle Forze Speciali e delle Forze di Difesa Popolare dell’Uganda, un agglomerato di difesa armata tra il grottesco e il sollecito che ha collaborato senza soluzione di continuità per pattugliare la sede dell’evento e le aree circostanti. Per scoraggiare i furti, ad esempio, è stato chiesto ai partecipanti di sbloccare il proprio telefono prima di lasciare l’area, una misura che si è rivelata efficace, non tanto invece quella di obbligare all’abbandono dei propri accendini in entrata, in uno dei molteplici controlli all’accesso.

Non è stata l’unica novità: oltre alle misure di sicurezza rafforzate, è stata data una maggiore attenzione alla cultura ugandese locale e massima salienza agli spettacoli dal vivo, resi indimenticabili per effetti pirotecnici e visivi scenografici, per il numero di attori coinvolti e per l’impressionante impatto artistico e culturale. Non sono stati da meno gli allestimenti, artigianali ma potenti: una ruota panoramica fantasmagorica, impestata di luci al neon verde acido, veramente raw e graffiante, una distesa di vaschette di alluminio girate dal sapore di afrofuture e metallico, spassosi teaser video e videomapping psichedelici, stand sponsorizzati e indipendenti con personalità multiple, allestimenti degli stage in stile cyberpunk o afrofunk, caleidoscopici e gagliardi, segno di un festival che non ha bisogno di tirarsela per far stupire.
Nyege Nyege è riuscito a sfondare anche in questa edizione per la sua capacità di innovarsi, anno dopo anno, nel proporre una miscela energica, per non dire lisergica, di musica, danza, arti visive, cultura e delizie culinarie provenienti da diverse parti dell’Africa orientale e del continente. L’affluenza, soprattutto nel weekend, è stata piuttosto alta poiché vari gruppi provenienti dal mondo occidentale e diverse compagnie di danza indigene come i Bamasaba, i Basoga, i Baganda, i Teso, sfilando per gli stage e poi sui palchi come in una parata di carnevale, hanno offerto una suggestiva rappresentazione estetica delle loro tradizioni, sfoggiando costumi stupefacenti e gonnelle e tamburi e canti tribali, attirando moltissimi locals.

Nonostante fossimo nel pieno della rainy season, al terzo giorno è venuto chiaramente alla luce il senso di unità e di celebrazione culturale, che rinsalda il ruolo visionario di Nyege Nyege come evento veramente trasformativo nel panorama musicale mondiale, trascendendo le aspettative e le condizioni meteorologiche in più di un modo. I leggeri acquazzoni non hanno infatti smorzato l’umore, ma han dato il via ad esaltanti esperienze musicali e di ballo. Come se il linguaggio dell’Africa fosse il ritmo, e a parlare fossero i corpi.

Uno degli aspetti più notevoli del festival è stato l’impegno per l’inclusività, non solo delle culture native e delle molteplici etnie, ma anche musicalmente parlando. Dalla cerimonia di apertura alle esibizioni finali, è stata suonata un’ampissima gamma di generi, tra cui musica classica, jazz, reggae, hip-hop, tribal techno e world music.

In questo modo, il festival ha dimostrato non solo il potere unificante della musica, ma ha rimarcato l’importanza di celebrare la diversità culturale di un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, non per liquefare o livellare le identità locali ma anzi, facendole spiccare per specificità di territorio e tradizione, con autentico orgoglio e fierezza.

Ma veniamo a quello che è stato il vero sigillo di garanzia e qualità del festival: le esibizioni musicali live, distribuite su sette palchi, talvolta attivi in contemporanea, hanno offerto qualcosa di unico, folgorante, memorabile.

Il Main Stage Uganda Waragi è stato l’epicentro del festival, e ha ospitato vivaci e audaci esibizioni di artisti emergenti provenienti da Africa, Asia e America Latina, offrendo al pubblico l’opportunità di esplorare suoni e ritmi mai sperimentati prima, tra vari generi come terab, pop e reggae. Il palco stesso sembrava un caleidoscopio ipnotico di luci e suoni, dove i confini tra artista e pubblico erano con-fusi e l’euforia collettiva raggiungeva il culmine. Anche la musica è stata una fusione di generi, ad unire elettronica, afrobeat e suoni sperimentali, tra cui una sessione brain melting di una rock band giapponese, i Gezan, con la carica scatenata del suo frontman, avrebbe potuto facilmente essere scambiata per una serenata in luganda. Ogni artista ha dimostrato il proprio stile nel corso delle serate, sconfinando oltre i limiti della musica e della performance.

Per non parlare del live della troupe Spyda MC, tutta in acustico con strumenti etnici, coloratissima e carnevalesca: è stata la masterclass del festival. Esperimento ben riuscito quello del rapper nel sostituire DJ e band con batteria e xilofono, che ha reso il flow estremamente organico, originale.

Tra gli artisti principali del festival si sono esibiti numerosi artisti ugandesi molto noti, tra cui Kenneth Mugabi, i cui ritmi emotivamente carichi hanno lasciato la folla a bocca aperta, Elijah Kitaka e Pia Pounds, hanno incantato i partecipanti con riti iniziatici ad alta energia e colorati, il congolese Chrisman, a presentare in world premiere un set magnetico con Shoty & Lova Tembe. Il DJ Suuna Ben invece ha fatto scatenare il pubblico con mix allegri e accelerati di dancehall, dub, raggae, affermando la forza di coesione della musica ugandese e delle ritmiche kadodi. L’energia era palpabile mentre la folla ballava e ondeggiava al ritmo della notte. I social media pullulavano di contenuti in tempo reale, mentre i partecipanti condividevano gli stati di trance via TikTok e Instagram Reel.

Mentre il palco Uganda Waragi era il cuore del festival, le tende per feste e altri palchi sono state le arterie verso un altro tipo di atmosfere, dimostrando l’impegno del festival nel rimanere fedele alle sue radici elettroniche afro, bilanciando però il resto con suoni amati dai festaioli della scena locale kampalese. Così, per ogni esibizione dei Benti Boys c’era un Mostafa dal Sudan o un Papalass Rebellion a fare da contraltare, in una giustapposizione di suoni tradizionali e sperimentali capace di creare uno spazio in cui passato, presente e futuro coesistono sulla dancefloor.

Lo stage Hakuna Kulala è rimasto fedele al suono Nyege Nyege, sventagliando una pluralità di artisti, delle etichette e non, animando di brio le giornate tra performance, più o meno improvvisate, ed esibizioni da sballo, tra generi dancehall, funk disco, trip hop, tech. Gli anni scorsi veniva un po’ evitato dagli ugandesi, ma questa volta in molti difficilmente hanno resistito al richiamo della sua giungla sonora. Dalla fusion techno di Kolaborasi Wisisi in B2B con il bubbling di Crustasex al set stravolgente di DJ Jeff the Last Born con Izak King, che ha scatenato la dancefloor; dal set energico di Lady Hash per passare a quello del martellante producer dj Travella, altro giovanissimo talento della NNT che combina con scioltezza campionamenti live, mix estremi, elettronica cyber e tecniche ultrasoniche, per giungere infine al paesaggio sonoro di Acid Pauli, che si è lanciato sul mixer per un live set di 3 ore con verve sperimentale e site-specific imperdibile.
Il Dark Star, palco sperimentale del festival, ha invece animato e scaldato le notti con live folgoranti, metaritmici, futuristici, partendo con quello dell’affascinante Violence Gratuite, francese di origine camerunense, per giungere ai suoni crudi di HHY & The Kampala Unit, ad esplorare le mutazioni tra intensità ritmica e profondità acustica, in una miscela di dub, techno, funk, corni marziali, percussioni estatiche ed elementi di trance a scontrarsi su passaggi cinematografici inquietanti e spettrali. E ancora, l’ironico e persuasivo Jako Maron, l’eclettica Kampire, lo stile bilanciato e tribal della somala Hibotep, che ha lasciato spazio ad incursioni di impro-rap, e ancora dell’etichetta Nyege Nyege Tapes, i ritmi forsennati in stile frenetico singeli, che spinge fino a raggiungere velocità vertiginose e senza senso oltre ai 180bpm, con il malese DJ Diaki, e Bamba Pana e Sisso dalla Tanzania. Ipnotici e altamente contagiosi. Come non parlare poi del live performing della giovanissima francese-ghanese PÖ, a stregare il pubblico e a sfidarlo apertamente sulla scorta di infiammati incantesimi e sortilegi combinati all’uso esperto del synth e dell’autotune. Altra chicca decisamente mesmerizzante è stato il live di Cheb Runner, derviscio della inbetweeness, che ha condotto chiunque l’ascoltasse in stato di trance a suon di drum machine e battiti ad incastro portati fino all’asintoto in cui il macchinico diventa organico, postumano, spaziando dal chaabi marocchino alla disco eclettica e techno deep, dalla musica sacra fino al gabber olandese.
La notte di sabato ha riservato prestigiosi live come quelli del duo norvegese e sciamanico di Sturle Dagsland, del resident ugandese Afrorack e di JUDGITZU, progetto dell’etnomusicologo francese punk Julien Hairon; poi ancora gli Authentically Plastic, con ritmiche crude accelerate e pluristratificate, ispirate all’elettronica acholi, in un set oscuro e al contempo giocoso, ad esplorare sonorità ignote a partire da basi gqom, techno e noise, con influenze acid industrial.

E’ ancora vivo, e diciamo grazie a Nyege Nyege, l’afrofuturismo: un immaginario inesplorato, pieno di suoni, visioni, fantascienza ed estetiche, emerse da un ignoto futuro anteriore che rivela connessioni inedite, sotto il segno della oscurità, ed impasta l’uso delle machines moderne con il tremore quasi maniacale e l’urgenza interiore di trovare quel ritmo, quell’innesco che smonti e ricomponga le grammatiche del suono in una lingua nuova, aliena.

Sono state un’enorme sorpresa anche le attività cittadine che includevano esibizioni culturali, open mic ed eventi di moda. Tra le più attese, Kwetu Kwanza, un evento collettivo che ha promosso il sustainable fashion tra le strade in terra rossa di Jinja.

L’edizione di quest’anno è stata dunque un amalgama imprevedibile di divertimento, orgoglio culturale e unità globale. Nyege Nyege ha dimostrato il suo fascino intramontabile, la capacità di continuare a spingere artisti e talenti sul piano internazionale, unendo musica e cultura, tradizione e sperimentazione, forza visionaria e azione performativa, in un’esperienza indimenticabile.

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