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Music

IMO – C2C Festival

words: Mario Darchetti

E quindi uscimmo a riveder le stelle. D.Aligheri

24.11

IMO – C2C Festival

IMO – C2C Festival

C’è un attimo, ogni anno, in cui Torino smette di essere soltanto Torino, e c’è una sorta di elettricità urbana che prende possesso di luoghi che normalmente vivono di altri ritmi. Così è andata anche per la ventitreesima edizione di C2C Festival — Per Aspera ad Astra — dedicata alla memoria del fondatore Sergio Ricciardone: quattro giorni, dal 30 ottobre al 2 novembre, 42.000 partecipanti, 68 artisti da 21 Paesi, 65 set (21 esclusive italiane e 7 debutti) e un pubblico internazionale al 40%. Numeri che raccontano una vitalità, ma anche una capacità di respiro internazionale che Torino, almeno in quei giorni, ormai esercita con naturalezza.

Ciò che ha reso speciale questa edizione non è stato soltanto il cartellone: è stato il modo in cui il festival è tornato a essere città. Lingotto Fiere si è confermato centro nevralgico e cuore rituale — il main stage, le installazioni, il flusso umano — ma C2C ha parlato anche attraverso le OGR, il Teatro Regio, Combo, Le Roi, le Fonderie Limone e gli spazi esterni che hanno trasformato Torino in una mappa sonora diffusa. Il festival non occupa più semplicemente la città: la attraversa, la rilegge e la cambia, lasciando in giro una sensazione di deva vu che resta addosso a cose, persone e luoghi, per giorni.

Tra la Mole Antonelliana illuminata con la dedica a Sergio, e le corse notturne tra un palco e l’altro – e quelle diurne tra una location e l’altra – C2C ha mostrato ancora una volta la sua vocazione: trasformare la città in un organismo connesso. Per me, abbastanza vecchio da ricordare gli albori di questo progetto durato quasi cinque lustri, seguire finalmente con calma, e dall’inizio alla fine, il festival è stato un ritorno alle origini: quando C2C era ClubToClub e si saltava davvero da una venue all’altra, prima delle Olimpiadi, e di quella gentrificazione che, se pur non ancora ai livelli dispotici e grotteschi della vicina Milano, sta cambiando l’essenza di questa città.

Dopo la doverosa premessa sulla cornice, un focus sulla programmazione. E da quel punto di vista no, non è stato un ritorno alle origini: C2C non è più un festival di elettronica tout court, ma è splendidamente cross-genre, e il minimo comune denominatore va ricercato in tutto ciò che è avanguardia. E siccome chi scrive, nonostante il tone of voice aulico e le citazioni semi-dotte, rimane pur sempre un tamarro da roba in quattro quarti, la voce narrante shifta a quelle di Sofia e Giuliona, che hanno seguito insieme a me il festival, e che di musica possono discernere più di ogni altro.

Dai feedback entusiasti, a quelli meno. Nourished by Time ha portato un momento di sospensione: voce bellissima, e il suo show uno degli highlight del festival. Set senza fronzoli, e anche se la sua musica ha un tocco lo-fi e intimo che poteva perdersi sul palco grande del Lingotto, invece regge e conquista. Il live firmato Model/Actriz resta “il miglior concerto del festival. Musica rock che si balla e spacca. Il cantante si muove come fosse in una ballroom, si butta in mezzo al pubblico e fa impazzire tutti. E poi John Maus, apparizione estatica: “Chi c’era non se lo dimenticherà. Ha fatto palestra, urlato, corso e sudato più di tutti. Si è dato tutto. Maria Somerville: “Un bel live ipnotico, scuro, chitarroso e rumoroso. Perfetto per l’ultimo giorno di festival.”Poi Mechatok, “partito un po’ in sordina ma poi ha fatto saltare tutti. Divertente, ed Expression On Your Face si conferma una bombetta da dancefloor.” Saya Gray ha lasciato sensazioni contrastanti: “È brava, indubbiamente. Ma non ha un genere che la definisce, e questo mi ha lasciata un po’ spiazzata. Passa dal folk al pop al country a una sorta di elettronica. Il momento più bello? Quando tutti cantavano This Is Why (I Don’t Spring 4 Love) — lì il pubblico era con lei, anche se la performance nel complesso mi è sembrata un po’ insipida. Blawan: “Rimandato. Il disco è uscito da poco, forse non ha ancora trovato la forma live. Troppi vuoti, poco coinvolgente.”

Dietro a tutto, la regia luminosa del collettivo LLum, che ha dato vita a un impianto visivo di rara coerenza e bellezza. Luci, riflessi e ombre che hanno scolpito gli spazi torinesi in una nuova architettura temporanea, una Torino reinventata dalla luce.

Umberto Eco, che questa città l’ha capita forse più di chiunque altro, diceva che “senza l’Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l’Italia sarebbe molto diversa”.

E, per la scena dei festival nostrani, questa frase, pensandoci, è ancor più vera. Dopo che Sergio Ricciardone ci ha lasciato, il futuro a cui C2C ha sempre guardato non può che essere tutto da scrivere. Forse è questo il lascito più grande: l’idea che la sperimentazione, la ricerca e il rischio non siano solo estetica, ma un modo di stare nel mondo.

E allora, per favore, C2C, continua a farlo. Continua a scriverlo quel futuro — perché lasciarci da soli, qui, tra i festival scrausi italiani, sarebbe davvero crudele.

Full gallery a cura di Adrian Morittu

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