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Music

IN CONVERSATION WITH: MACHINE GIRL

words: Luca Manenti

29.10

IN CONVERSATION WITH: MACHINE GIRL

IN CONVERSATION WITH: MACHINE GIRL

A un anno di distanza, Machine Girl torna a ruggire con PsychoWarrior: MG Ultra X, secondo capitolo della saga inaugurata lo scorso ottobre con MG Ultra.

Dopo un periodo come live performer, la chitarrista Lucy Caputi entra ufficialmente in studio accanto al fondatore Matt Stephenson e al batterista Sean Kelly, dando vita al primo album concepito e prodotto da questa nuova formazione.

Il disco, pubblicato il 24 ottobre, è un detonatore di energia e visioni: la sorgente da cui hanno origine le bordate sonore plasmate per risvegliare lo psico-guerriero che è in ciascuno di noi colui che lotta per fare chiarezza e riportare equilibrio nella follia schizofrenica del presente.

Con Matt, Lucy e Sean abbiamo parlato di come è nata questa urgenza, e di come il gruppo sta vivendo un momento di rinnovamento profondo, ma anche di continuità con le proprie origini.

Matt, com’è stato lavorare in studio con questa nuova formazione per la prima volta? Come si è evoluto il processo creativo con voi tre insieme e quanto le idee di Sean e Lucy hanno influenzato PsychoWarrior: MG Ultra X?

Matt: Direi che è stato un processo molto più collaborativo rispetto ai precedenti dischi dei Machine Girl, sicuramente. Anche stavolta ho scritto e sviluppato molte idee da solo all’inizio, ma poi ci siamo messi a lavorare insieme per dare loro una forma più completa.

Lucy, però, non si era ancora trasferita a New York fino a poche settimane fa, quindi non ha potuto essere fisicamente con noi tanto quanto avremmo voluto. Abbiamo lavorato spesso a distanza e, per necessità di rispettare le scadenze, mi è capitato di dover portare avanti alcuni brani da solo.

Detto questo, alcune delle mie parti e dei miei ricordi preferiti di tutto il processo restano proprio quei momenti in cui eravamo insieme in studio a lavorare fianco a fianco.

Lucy e Sean: com’è stato lavorare a questo disco?

Sean: Questo era il primo album con Lucy. Matt e io avevamo già prodotto dischi in modo simile — lui scriveva la musica, e io intervenivo per modellarla o sviluppare certe idee. Questa volta ci siamo trovati davanti a ostacoli nuovi e, in più di un’occasione, Lucy è intervenuta salvando dei brani. Sai, aggiungere la chitarra non è per niente semplice.
Registrare la batteria era già una sfida, ma scriverne le parti rappresentava un processo più naturale, perché Machine Girl è sempre stato un progetto molto percussivo, anche prima che entrassi io. Inserire la chitarra, invece, è stato un vero e proprio puzzle: ogni sezione di ogni pezzo era da reinventare. È stato pazzesco e molto difficile. Quindi sì, questa volta la sfida era ancora più grande.

Lucy: Sì! Entrare nella band è stato una figata ma anche un po’… travolgente, direi, perché Sean e Matt suonano insieme da tanto e li ammiro moltissimo. Quindi un po’ di pressione l’ho sentita, perché c’era un certo livello da mantenere.
E come diceva Sean, la chitarra è stata un enigma, la chiamavamo proprio “la chitarra puzzle”. In molti brani l’abbiamo trattata volutamente come uno strumento elettronico, cercando di farla suonare più come un sintetizzatore, anche se ci sono momenti in cui si sente davvero la sua anima.
Faceva parte del concetto: spingere lo strumento verso un’identità più sintetica, e credo che ci siamo riusciti. Il processo è stato divertente, anche se compresso dalle tempistiche, ma alla fine siamo tutti molto soddisfatti del risultato.

Psycho Warrior appare, musicalmente e nei testi, come una critica irriverente ma affilata alla vita contemporanea. Brillante, pungente e anche ironica. Volete raccontare come ha preso forma il concetto di questo disco, e in particolare come le vostre visioni si sono incontrate?

Matt: L’espressione psychowar è qualcosa che avevo pensato di usare come titolo di una traccia o di un album anni fa, quindi l’idea era già lì, stratificata nel tempo. Nel disco c’è molto di una vera e propria riflessione sulla vita contemporanea e sulle difficoltà di orientarsi in essa – tema che, tra l’altro, è presente anche in MG Ultra – cercando di navigare nella follia del nostro tempo, fronteggiando il fatto che i nostri cervelli non sono progettati per filtrare e sperimentare costantemente tutte queste informazioni.
E specialmente ora, con l’introduzione dell’intelligenza artificiale e da quando esistono account bot e disinformazione, le persone restano intrappolate nei propri piccoli mondi. Ed è tutto complicato, perché come puoi far sì che le persone si mettano d’accordo su qualcosa quando vivono fondamentalmente in realtà diverse? Possono guardare accadere lo stesso evento e vedere cose totalmente differenti, che si negano a vicenda.
E così è nata l’idea di una psychowar, una guerra per le menti — che, in realtà, è sempre stata combattuta dall’umanità in vari modi — con la differenza che ora esistono strumenti che sono spesso al di là di ciò che i nostri cervelli sono in grado di processare e comprendere. Penso che la combinazione di social media e intelligenza artificiale sia una bomba nucleare.

E il punto è che, quando non impari come funziona tutto questo – e la maggior parte delle persone non lo fa – e poi ti trovi di fronte a qualcosa come ChatGPT o video generati dall’IA, tutto può distorcersi completamente. Quindi il concept nasce fondamentalmente dall’osservare il mondo sprofondare nella follia.
Voglio dire, qui siamo in America, quindi…

Lucy: È una bolla a sé.

Matt: E l’ultimo punto che voglio aggiungere è che l’idea dello psycho warrior è una nozione volutamente ironica e un po’ kitsch — una sorta di personaggio o archetipo alla Joseph Campbell, un eroe che si alza e combatte, tagliando via tutta la spazzatura e rafforzando le proprie capacità mentali per reagire a tutto questo. Perché da parte dei potenti c’è una vera e propria guerra dichiarata alle nostre menti, un processo di manipolazione e di controllo mentale che sta avvenendo in tempo reale.

La guerra mentale che ognuno di noi deve combattere ogni giorno, anche solo per distinguere la verità dalle fake news…

Matt: È come in 1984, proprio così. Soprattutto con gente come Donald Trump questo succede praticamente con qualunque cosa dica.

Sean: Il doublespeak…

Lucy: L’erosione della verità…

Matt: Già. E il gaslighting costante che viene pompato da ogni parte.

Viviamo in un periodo in cui le disuguaglianze sono sempre più accentuate, i governi sono distaccati dalle esigenze delle persone e del pianeta, e le realtà distopiche sembrano avvicinarsi sempre di più. Quanto di questa tensione si riflette nei testi e nell’identità sonora di Machine Girl?

Matt: Sicuramente tutto questo è parte di ciò che siamo. Ci sentiamo ancora una band della classe operaia: non abbiamo case, non possediamo nulla di grande. Siamo una band di successo, ma lavoriamo continuamente. Il peso del mondo e dell’economia si riflette nella nostra musica – è sempre lì, come un fuoco che brucia sotto di noi.

In questo disco è presente il brano “Despite Having No Money At All I’m Just Another Rat in the Mall”, probabilmente la nostra canzone più apertamente anti-capitalista. È ironica, ma nasce dallo sfogo di vivere in un mondo dove tutto è diventato transazionale. Tutti devono vendere qualcosa o avere mille lavori. Persino le relazioni tra le persone, a volte, sembrano transazioni.

Lucy: Condivido pienamente ciò che ha detto Matt. Oggi è difficile per chiunque essere in una band. Ci sono sempre limitazioni, e devi imparare a fare il massimo con ciò che hai, tra tour, tempi stretti e risorse limitate.

Sean: Io cerco di portare vitalità e un pizzico di assurdità nella musica. Molte persone oggi si sentono stanche, disilluse in quanto appassionati di musica o di concerti. Cerco di infondere creatività in ogni parte del brano e dello show, per sollevare gli animi – anche attraverso l’umorismo. Ci sono tanti giochi di parole, doppi sensi, piccole follie.

Matt: Sì, e questo è importante. La nostra musica è aggressiva, ma non necessariamente arrabbiata. Uno degli elementi fondamentali di Machine Girl è proprio l’assurdità: il mondo è così folle, e noi abbiamo deciso di abbracciarlo fino in fondo.

Sean e Lucy: come avete conosciuto Matt? Seguivate già il suo lavoro prima di entrare nella band o la connessione è nata in un altro modo?

Sean: Io e Matt ci conosciamo da tempo, suonavamo insieme da adolescenti. Quando lui aveva già creato Machine Girl da qualche anno, io andavo ai suoi concerti e restavo coinvolto. Quando ha deciso di espandere il progetto in una vera band, sono stato il primo ad essere reclutato.

Lucy: Matt ed io eravamo amici online grazie a SoundCloud da molto tempo, dal periodo intorno al 2013–2014. Siamo stati in una compilation insieme, avevamo tracce simili e ci siamo conosciuti così. Durante il lockdown, abbiamo iniziato ad immaginare di inserire la mia chitarra nel progetto. Ora sembra tutto un po’ casuale, ma è qualcosa che in realtà stavamo pianificando da 4–5 anni.

Matt: Non si era mai concretizzato fino ad ora. Ci sono voluti sicuramente almeno due anni e mezzo perché Lucy si unisse ufficialmente.

Quindi tutto è successo in modo molto organico, si può dire. Matt, puoi tracciare le influenze che hanno alimentato la fase iniziale, strettamente elettronica, di Machine Girl? E cosa ti ha spinto infine verso questa incarnazione in una band completa?

Matt: Beh, già dall’inizio volevo che diventasse un po’ quello che è ora. Ci è voluto solo del tempo. Volevo far diventare Machine Girl una band fin dall’inizio, ma non sapevo concretamente come fare, quindi, dall’inizio fino a Gemini, nel 2015, facevo tutto da solo. Poi, verso la fine di Gemini, mi sono sentito un po’ bloccato, così ho deciso di provare a far succedere la cosa della band.

Le influenze sono sempre state le stesse, solo che inizialmente si traducevano in musica strettamente elettronica, mentre in seguito sono confluite in sonorità più da band.

Ancora adesso le influenze elettroniche dei primi dischi di Machine Girl sono facilmente rintracciabili, a partire dalle sonorità footwork e rave…

Matt: Il mio incontro con il footwork è stato abbastanza casuale. Era il 2013 circa e la mia ex lavorava in una galleria d’arte con un tizio che faceva musica. Quando gli chiese che tipo di musica facesse lui rispose: “footwork”. Non ne avevamo mai sentito parlare prima, e inizialmente ci siamo quasi presi gioco di lui perché non sapevamo cosa fosse. Poi mi sono imbattuto in un mix di Kode9 di quel periodo. Lui era super immerso nella scena footwork e già firmava DJ Rashad e altri artisti della Teklife. Ascoltando quel mix – credo fosse su Rinse – quando arrivarono i brani footwork pensai: “Ma che diavolo è?”

Era semplicemente fantastico, nuovo, eccitante e pazzesco, per me: amavo quanto fosse frenetico, tagliato, veloce e folle. Sembrava qualcosa di completamente nuovo. In quel periodo a New York il footwork era ovunque, fino al 2016 circa: in ogni festa almeno un DJ lo suonava.

Sean: Sì, era più o meno il periodo in cui avevo l’età per uscire e scoprire posti dove andare a ballare. Il 2012-2013 è stato il periodo in cui ho cominciato a frequentare locali e adoravo Hyperdub. È stata una fase travolgente, con tanta musica nuova. E ovviamente, oltre a ballarla, potevo anche ascoltarla durante il tragitto per andare al lavoro. Roba pazzesca.

Nonostante l’attenzione e l’autorevolezza che avete guadagnato, la musica di Machine Girl suona ancora incredibilmente originale, spontanea e libera da logiche di mercato. Come proteggete questa indipendenza e mantenete la vostra musica così autentica?

Matt: Penso che io sia semplicemente incapace di creare cose che non suonino “Machine Girl” e, in ogni caso, la mia sensibilità non va molto d’accordo con il marketing pop. Quindi non credo che ci sia voluto un grande sforzo da parte nostra per rimanere strani. È semplicemente così.

Lucy: Siamo semplicemente strani.

Matt: Sì. Ed è un riflesso della musica che ci piace. Ci appassioniamo alle outsider art, a band folli…

Lucy: Vorrei aggiungere che spesso un aspetto trascurato di Machine Girl sono i riferimenti e le ispirazioni, che non provengono solo dalla musica, ma anche da film,libri o altro. Ma non è qualcosa che si nota immediatamente.

Sean: Ispirarsi a fumetti folli, film pazzeschi, senza sentirsi vincolati a un singolo genere o scena, alimenta il progetto.

Lucy: Non siamo tipo: “Vogliamo suonare come X o Y… oppure “ci piace quel pezzo di quella canzone, come possiamo farlo a modo nostro?”

Recentemente, il mondo della musica elettronica si è molto esposto su questioni sociali e politiche. Tuttavia si ha la sensazione che la musica elettronica abbia perso un po’ dell’energia rivoluzionaria che l’ha sempre definita, e che anche l’underground cada vittima di logiche conformiste.

Matt: Storicamente, la roba più rivoluzionaria nell’elettronica avveniva nei rave. Ora non ci sono più spazi liberi, tutto avviene nei club.

Sean: Penso che la gentrificazione degli ultimi quindici anni abbia fermato tutto. Guardando i video delle feste anni ’90 nei magazzini mi viene da pensare che nel 2013 era già tutto finito. Ora puoi avere quello che vuoi, certo, ma è tutto più complicato. La musica rimane all’avanguardia, ma gli eventi live sono ostacolati.

Lucy: Stavo pensando a quando eravamo in Tasmania e passeggiavamo durante un festival. Succedevano cose fuori di testa e ci chiedevamo come mai la polizia non intervenisse. Poi ci siamo ricordati che noi siamo abituati al clima poliziesco degli Stati Uniti, dove qualsiasi cosa interessante viene in qualche modo censurata.

Dove immaginate che arriverà il suono di Machine Girl? Sentite già la prossima mutazione nell’aria?

Sean: Sento che finiamo sempre per non avere abbastanza tempo. Ogni volta che abbiamo una nuova idea, dobbiamo finire l’album a cui stiamo lavorando.

Matt: Sì, è vero. La prossima volta che ci metteremo a creare qualcosa, lo faremo senza scadenze. Sto valutando concetti simili a quello di PsychoWarrior e ho già delle idee da elaborare per il prossimo disco, avvalendomi dei suoni sperimentati fin qui.

Lucy: Sì, abbiamo imparato molto in questo processo, quindi avere quel bagaglio sarà utile.

Matt: Ho detto in altre interviste che questo disco e anche MG Ultra per me sono come cioccolatini assortiti, scatole di brani in stili diversi, oppure ho usato l’analogia con un piatto misto cinese. C’è molta varietà. Per il prossimo lavoro voglio fare l’opposto: estrarre un suono da uno di questi brani e farlo diventare il core di tutto l’album, limitandoci a portarlo al limite

Machine Girl ha sempre avuto un’identità visuale molto originale, fin dai tempi di WLFGRL. Quali sono i vostri riferimenti?

Matt: Tutto è molto influenzato da quello con cui siamo cresciuti. Cose che mi inquietavano da piccolo come cover di VHS, clip anime strane, roba cyberpunk e sci-fi d’azione anni ’80 e ’90. Amo tutto questo, e ci penso quando creo un brano o penso alla copertina di un album, cercando di dare quella sensazione, di ricreare quel mondo.

Lucy: Tutti peschiamo dallo stesso “pozzo”, musicalmente e visivamente. Machine Girl ha creato un mondo ben costruito: vedi o ascolti qualcosa e sai che è riconducibile a noi.

Sean: Io ho sempre un legame con tutto ciò che ha, anche solo vagamente, lo spirito del culture jamming. Visivamente o musicalmente, può trattarsi di qualsiasi cosa estrema.

Avete già pianificato un tour per questo album?

Sean: Andremo in Asia quest’anno e abbiamo già annunciato delle date in Europa per gennaio. E sì, arriverà molto altro l’anno prossimo. Continueremo a muoverci.

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