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Art

IMO: WOULD YOU LET YOURSELF IN?

words: Alessandro Milzoni

28.08

IMO: WOULD YOU LET YOURSELF IN?

IMO: WOULD YOU LET YOURSELF IN?

La mostra dedicata a Leigh Bowery alla Tate Modern di Londra ci spinge a guardarci allo specchio e ad andare oltre le apparenze, per abbracciare l’ignoto.

Girando per le strade di Londra non si riesce a non respirare i lontani profumi di un’epoca ormai finita, fatta di subculture giovanili, club, estetiche identificative e rabbia. La si può notare nei mattoni rossi incisi con un taglierino; negli adesivi di rock band attaccati ai pali della luce, uno sopra l’altro; nei negozi vintage che, come teche museali, custodiscono i cimeli dei protagonisti del passato.

Leigh Bowery non può che stare nell’Olimpo dei player più significativi della Londra punk, quella degli anni Ottanta, per il suo contributo all’arte contemporanea, nella sua accezione più ampia. Si, perchè incasellare Bowery in una sola etichetta, non solo sarebbe riduttivo, ma anche sbagliato.

Performer, autore, stilista, artista, clubber, musicista, personaggio televisivo, pr, creativo: Leigh Bowery è stato emblema di libertà e vero game changers della scena artistica contemporanea.

Per questo la Tate Modern di Londra ha scelto di dedicargli una mostra dal titolo ‘Leigh Bowery!’. Semplice, nome e cognome, che è l’unica definizione che racchiuderebbe tutte le precedenti. E in quel punto esclamativo coincidono tutto il suo entusiasmo e la sua forza propulsiva e provocatoria con cui si è imposto – con gentilezza ma non con discrezione – nella Londra thatcheriana.

Dopo una formazione in musica e moda a Melburne, Bowery si trasferisce nella febbrile Londra dei primi anni Ottanta. Con i suoi coinquilini, gli artisti Guy ‘Trojan’ Barnes e David Walls, frequentavano i club della capitale con il nome ‘Three Kings’ e indossavano look non convenzionali che talvolta realizzavano da soli. Le sue creazioni divennero talmente riconoscibili da essere usate anche negli spettacoli coreografici di Michael Clark, girando il mondo dall’europa, agli Stati Uniti fino al Giappone.

La teatralità mischiata al feticismo sfociava in abiti, copricapi, calzature, fantasie camp violente , narrative ed estremamente provocatorie. E, ad accentuare la sfida verso la borghesia e le convenzioni c’era anche la condotta dello stesso Bowery che includeva talvolta il sesso in pubblico e l’uso di droghe.

L’apice del suo successo lo troverà nel Taboo, il locale notturno, tempio del movimento New Romantics, fondato da Bowery nei pressi di Leicester Square, nelle gay street di Soho. La guest list farebbe oggi impallidire quelle dei migliori locali, perchè in quella esposta dalla Tate troviamo nomi come John Galliano, Bella Freud, Boy George per citarne alcuni. Ma oltre che per la musica, il Taboo divenne un punto di riferimento per la scena queer, sia omosuessuale che polisessuale, e teatro di tutte le performance che, attraverso il make up, i costumi, le acconciature e le maschere, Leigh Bowery metteva in scena generosamente. Tra queste una delle più memorabili è ‘Maternity’ in cui Bowery, grazie ad una imbracatura, si posee l’artista Nicola Bateman, che poi divenne anche sua moglie, sul grembo e, nell’atto di partorire, uscì dal suo ventre, coperta di sangue e attaccata a lui con un cordone ombelicale fatto di salsicce.

Complicazioni legate all’AIDS interruppero la sua breve vita, come già aveva fatto per molti dei suoi amici.

La mostra non è solo una narrazione attraverso i suoi vestiti e i suoi costumi, ma è un’investigazione nel suo intimo. Una riflessione sociale di come un fenomeno come Leigh Bowery abbia potuto esistere all’epoca ed continuare ad avere un senso anche 30 anni dopo. Un’interrogazione se un altro Leigh Bowery oggi sarebbe urgentemente necessario.

La ricerca continua di stimoli e significati, la rincorsa verso la libertà di poter rompere ogni barriera e creare un mondo confortevole per tutti, erano valori alla base dell’operato di Bowery che, nei tempi bui e sanguinosi che stiamo vivendo, sembrano tamburellare nelle orecchie.

La mostra chiuderà il 31 agosto, quindi chi ancora non l’ha vista avrà poco tempo per visitarla.

Andando verso l’uscita dell’esposizione si trova un piccolo testo che conclude in un modo che secondo me spiega in modo esaustivo e semplice chi era Leigh Bowery:

«Una persona che suscitava shock, disgusto e gioia, le sue modifiche corporee e provocazioni cercavano di mettere in discussione e mettere alla prova tutti i confini nell’arte e nella vita. Resistendo a ogni forma di definizione, l’opera di Bowery ci spinge a guardarci allo specchio e ad andare oltre le apparenze, per abbracciare l’ignoto».

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