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Perché oggi serve (ancora) resistenza

words: Tatiana Tardio

29.05

Perché oggi serve (ancora) resistenza

Perché oggi serve (ancora) resistenza

Questo venerdì, a Roma, succede qualcosa di raro. Tresor – uno dei nomi più sacri e meno corrotti della techno berlinese – arriva a fondersi con Resistance Is Techno, collettivo romano che da 14 anni ridisegna i confini del clubbing indipendente.

Negli anni ’90, nel ventre slabbrato della Berlino appena riunificata, nascono spazi che sembrano ruderi ma diventano altari. La techno berlinese – quella vera, quella sgraziata, ipnotica, abrasiva – prende forma tra polveri di amianto e vinili graffiati. Tresor nasce in questo contesto: dentro un ex caveau di un grande magazzino distrutto dalla guerra. Già il nome è una dichiarazione: tesoro nascosto, ma anche bunker sonoro.

Non c’è nostalgia, c’è radice. Tresor non ha mai inseguito il trend: ha piuttosto imposto un’idea estetica ed etica. Zero VIP, zero compromessi, massimo impatto. Il club come luogo per la working class rave generation, dove il capitale culturale è più importante di quello economico. Dove il suono, spoglio e crudele, è il linguaggio di chi non ha più bisogno di parole. Tresor è ancora lì, vivo, attivo, capace di rileggere le proprie origini nel presente. Ma è anche ovunque ci sia chi ne incarna la visione.

A chi non la conosce, Roma invece può sembrare una città lenta, stanca, esausta. Ma sotto la crosta, pulsa. Da anni, la scena underground romana resiste ai tentativi di gentrificazione culturale, alle retate della politica, al moralismo piccolo-borghese. Non si è mai del tutto istituzionalizzata. E questo è un pregio.

Resistance Is Techno nasce in questo paesaggio: post-apocalittico e meravigliosamente umano. La lineup di questa stagione ha messo insieme voci potenti dell’underground globale, mantenendo però una coerenza ferrea: no pose, no spettacolo, solo musica. Per chi frequenta questi eventi, l’esperienza non si consuma: si vive.

E cosa succede davvero quando balliamo per ore in uno spazio buio, senza cellulare, senza sguardi giudicanti, solo sudore e bassi? Succede che ci riappropriamo del corpo. E il corpo, in questa società iper-visiva, iper-regolata, è l’ultima frontiera del potere. Il dancefloor diventa un campo di battaglia sensoriale: lì si dissolve la norma, lì si esperisce l’alternativa.

Tresor e Resistance non si limitano a organizzare eventi. Creano ecologie temporanee dove l’essere umano può esistere fuori dalla logica del lavoro, del profitto, dell’efficienza. Sono esperimenti sociali in cui queer, marginali, rave kids e veterani si mescolano senza gerarchie. Nessuno ti chiede chi sei: lo diventi mentre balli.

Ed è per questo che possono dar fastidio. Perché sono spazi non mediabili, non commerciabili. Perché mostrano che si può stare insieme senza consumare, che si può costruire senza capitalizzare.

Il prossimo evento Resistance ospita il suono di Tresor come un codice genetico che si innesta su un corpo già mutante. È una saldatura tra visioni. Una celebrazione della techno come linguaggio internazionale, ma anche un confronto diretto: cosa significa oggi “resistere” nel clubbing? È una questione di estetica, o di etica?

Sarà l’ultima serata della stagione, ma non è una chiusura. È un’apertura. Un passaggio di testimone, un segnale transnazionale. Il clubbing non è morto, e soprattutto: non è diventato neutro. Se sai dove cercare, brucia ancora.

In un mondo che ci vuole sempre più isolati, il club ci restituisce il senso del collettivo. In una società dove tutto è tracciabile, ci offre l’anonimato. Dove tutto è vendibile, ci ricorda il valore dell’invisibile. E mentre i festival diventano parchi a tema sponsorizzati, la vera avanguardia si gioca nell’underground.

Tresor e Resistance lo sanno. E ci invitano a scendere. Non per evadere, ma per ricaricarci. Perché da lì, da sotto, dal buio, può ancora venire qualcosa che somiglia ad un nuovo inizio.

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