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Fashion,Music

IN CONVERSATION WITH: MATTHIAS

words: Tatiana Tardio

photographer: Paolo Barretta

09.01

IN CONVERSATION WITH: MATTHIAS

IN CONVERSATION WITH: MATTHIAS

Nel panorama musicale contemporaneo, dove le convenzioni spesso vengono sfidate e le etichette si dissolvono in un flusso di sperimentazioni e ibridazioni, ci troviamo di fronte a un artista che incarna perfettamente il concetto di indipendenza creativa e riflessione profonda sulla propria identità musicale. Matthias, produttore e deejay, ha scelto di restare fedele alla sua essenza, resistendo alle pressioni di un’industria che a volte sembra privilegiare l’apparenza piuttosto che la sostanza. La sua musica non è un prodotto, ma una testimonianza di un percorso interiore complesso, che si intreccia con le esperienze personali e le influenze di un panorama musicale in continua evoluzione.

In questo contesto, The Edge Of Night rappresenta un viaggio sonoro che fonde dub, techno e trance, con l’obiettivo di trascendere le categorie di genere per dare forma a un mondo musicale che riflette l’idea stessa di underground, inteso non come rifugio dal mainstream, ma come spazio di libertà e di auto-espressione.

In questa intervista esclusiva, Matthias ci guida nel suo processo creativo, condividendo le radici del suo percorso musicale, l’impatto delle sue esperienze sul suono che crea, e la sua visione del ruolo di un artista in un’epoca in cui la musica rischia di perdere il suo valore autentico, travolto dalle logiche di mercato e dall’industria dell’intrattenimento. Un dialogo intimo con un artista che, rimanendo fedele a se stesso, cerca di dar vita a un’opera che non solo esplora le sue profondità interiori, ma invita anche gli altri a riflettere, emozionarsi e, forse, a riscoprire un senso di comunità autentica attraverso la musica.

coat MM6

In un’epoca dominata dal digitale, il ritorno a formati fisici rappresenta una scelta significativa. Nel tuo caso, hai deciso di adottarne uno particolare per il tuo album “The Edge Of Night”, il gatefold. Cosa ti ha portato a prendere questa decisione?

Quando si parla di dischi, ciò che mi ha sempre affascinato non è soltanto il calore del suono caratteristico del vinile, che difficilmente difficilmente troviamo in altri formati, quanto la loro dimensione tattile e visiva, che riveste un’importanza particolare nel mondo del vinile. Le copertine apribili offrono una tela più ampia per gli artisti, consentendo di creare opere visivamente straordinarie; l’arte espansa può fornire una narrazione immersiva che accompagna la musica, offrendo un approfondimento che arricchisce l’esperienza d’ascolto. Oggi, quando ascolto l’album, riesco ad immaginarmi completamente perso in questa misteriosa foresta oscura, che è parzialmente illustrata sulla copertina. La visione si era già formata nella mia mente, e sentivo il desiderio di condividerla con gli altri. La copertina apribile era il tramite perfetto per le mie fantasie interiori, un portale che ti guida verso un altro mondo.

Ogni album racconta una storia unica. Puoi parlarci del processo creativo dietro “The Edge Of Night”? Quali influenze e ispirazioni hanno guidato la sua realizzazione?

Uno dei generi musicali che mi ha ispirato di più, non solo per il suo modo unico di elaborare i suoni ma anche per le tecniche rivoluzionarie di mixaggio – utilizzate per esaltare i singoli elementi con generose dosi di riverbero ed effetti delay – è senza dubbio la dub. Questo genere mi ha influenzato profondamente, non solo per i metodi rivoluzionari utilizzati in quell’epoca per processare il suono, ma anche per il suo approccio eccentrico nel utilizzo del mixer, tramite una serie di tecniche in grado di caratterizzare il suono con dose generosa di riverberi, delays ed altri effetti psicoacustici. Credo fermamente che la dub sia alla base della techno e della trance, con i suoi principi primordiali che guidano spesso l’ascoltatore verso una coscienza trascendentale, unendo musica, spiritualità, cultura e una dimensione quasi psicotropa.

L’impatto della dub mi ha permesso di integrare paesaggi sonori ipnotici e lisergici all’interno dei ritmi ripetitivi e minimalisti delle percussioni techno. Gli andamenti irregolari e i crescendo atmosferici sono elementi che ho preso in prestito dall’enfasi della dub, insieme alle linee di basso e ai campionamenti vocali che utilizzo.

Sono un grande appassionato del mondo fantasy. Quando creo musica, cerco di immergermi a fondo in quel regno di fantasia, un processo che spesso richiede più di semplice immaginazione: serve una maestria nell’arte del sound design e il coraggio di rompere le regole della scrittura tradizionale. Il mondo della fantasia, come quello della musica, è multidimensionale, con le sue leggi, i suoi costumi e il suo sistema di governance. Questo mi ha motivato a definire e illustrare il mio universo personale, con le mie regole.

Matthias in total look MM6

sweater BENEVIERRE

Matthias in total look MM6

Essere sia un deejay che un produttore offre un’ampia gamma di opportunità espressive. Come si intrecciano queste due dimensioni del tuo lavoro e come influenzano la tua musica?

Mettere dischi e produrre musica sono, per me, due cose ugualmente importanti, coesistono e si alimentano a vicenda. Non posso negare l’importanza della mia musica nei set: fin dai miei primi passi nella produzione, sono sempre stato affascinato dall’idea di poter suonare i miei brani. Questo mi ha permesso di costruire una firma distintiva e di stabilire delle regole precise che col tempo si sono affermate come elementi chiave nello stile di Matthias.

Immagina la bellezza di tutto ciò: durante la settimana sei solo in studio, immerso nelle tue creazioni che nessuno ha ancora avuto il piacere di ascoltare. Qualche giorno dopo, ti trovi di fronte al pubblico, presentando i tuoi ultimi brani. In questo percorso c’è un processo di sperimentazione personale. A volte funziona, altre volte no, ma è anche questo il bello: l’imprevedibilità del risultato.

Ho sempre fatto fatica a trovare dischi che rappresentassero il mio universo sonoro. Voglio sentirmi davvero rappresentato da ogni disco che suono. Non è una questione di genere, ma di armonia con il mio stile di mixaggio. La produzione mi ha dato la libertà di creare brani che rispecchiano la mia identità e che, col tempo, mi hanno aiutato a definire me stesso attraverso un viaggio di scoperta e accettazione personale, entrando in profonda sintonia con chi affronta situazioni simili alla mia.

Osservando il panorama musicale attuale, notiamo che la musica sembra avere meno peso nella carriera di un artista. Qual è la tua opinione su questa tendenza e quali pensi siano le conseguenze?

Credo che, indipendentemente dalle tendenze e dagli alti e bassi, devi restare fedele a te stesso, a qualunque costo. L’industria musicale oggi non è equa, lo sanno tutti. Ma un vero artista dovrebbe concentrarsi sul proprio percorso, non sull’industria. Focalizzati su ciò che puoi controllare, non su ciò che è fuori dalla tua portata. Oggi il successo non è necessariamente legato al contenuto musicale, ma penso che l’artista sia superiore all’industria, alle logiche di profitto. Devi trascendere queste dinamiche e continuare a perfezionare il tuo mestiere, come farebbe un buon artigiano.

Osservando l’industria, vedo molta oscurità, tanta corruzione, ovunque. È il riflesso della società che abbiamo costruito e che si manifesta anche nell’arte. Forse un vero artista non guarda alla propria arte come a una carriera: l’arte è spesso una necessità. La carriera, invece, è più un riflesso di come il mondo esterno percepisce e valuta il tuo lavoro. I canoni che oggi definiscono il successo di un artista non dovrebbero essere rilevanti. Ciò che conta è il rapporto tra te e la tua arte.

sweater DOMENICO OREFICE

Matthias in total look DOMENICO OREFICE

Le etichette discografiche rappresentano spesso la visione artistica di chi le crea. Qual è la tua visione e come si riflette nella tua musica?

Quando ho fondato la mia etichetta non avevo una visione artistica definita. Cercavo una piattaforma di sperimentazione, uno spazio dove poter testare liberamente le mie idee. Tutto è avvenuto in modo naturale e organico: il lavoro costante e quotidiano ha dato vita a una visione. Sognavo un modo per poter pubblicare ciò che volevo in totale libertà senza aspettare l’approvazione di nessuno. Superluminal è una piattaforma nata per raccontare i miei studi musicali e, occasionalmente, anche per offrire spazio agli artisti che mi hanno ispirato nel corso della mia vita.

L’idea alla base è molto semplice: l’etichetta è un diario musicale delle mie vita quotidiana. La musica è la colonna sonora della nostra vita, e la mia riflette esattamente ciò che sono. Quando compongo non posso mentire su chi sono: voglio esprimermi liberamente, senza essere incasellato in scene o movimenti. Come produttore cerco modi per rompere schemi e regole, creando brani che, all’interno dello stesso pezzo, possono trasformarsi in qualcos’altro.

Il concetto di underground è in continua evoluzione: ciò che un tempo era considerato “nascosto” oggi può trovarsi al centro dell’attenzione. Come interpreti il concetto di underground oggi, e come si applica alla tua musica e alla tua carriera?

È un argomento davvero ampio e complesso ma ci sono comunque dei modi con cui posso provare ad illustrare la mia idea in merito al significato dietro la parola “underground”. Prima di tutto, il termine “underground” conserva lo stesso significato e intento che aveva in passato: il tempo non può alterare un’ideologia forte.

Sebbene la sua definizione richiami molti valori e principi in cui mi riconosco, come essere fedele a sé stessi e, forse, agire in un’ottica di non conformità, mi sento più in sintonia con la mia personale definizione di “underground”, che implica che chiunque può esserlo a modo suo… Non è qualcosa che si applica a una carriera, ma piuttosto ai tuoi istinti e valori. Devi immergerti dentro te stesso, chiedendoti chi sei davvero e, forse, lungo il cammino, arrivi a una risposta. Quella è la risposta che non dovrai mai dimenticare.

Credo che l’underground sia l’opposto dell’egoismo: significa agire nell’interesse di una comunità, grande o piccola che sia. Alla base di questa comunità ci sono dei valori che possono essere considerati come le fondamenta e che sono il faro che ti guida e che ti aiuta ad allinearsi agli altri. Quei valori li rispetti perché credi fermamente in essi e ti senti autorizzato a preservarne il significato quando la loro definizione viene messa in discussione.

I promoter sono fondamentali per la vita musicale di una comunità. Quali suggerimenti daresti ai promoter moderni per contribuire a creare una scena musicale più autentica e significativa?

Non mi sento di poter dare questo tipo di consigli: certe cose accadono naturalmente, come riflesso della società; è pericoloso cercare di alterare il corso degli eventi o, come in questo caso, influenzare l’opinione di un promoter. È evidente che c’è molta corruzione nell’industria, non solo nel mainstream ma anche nella cosiddetta scena underground, il che ti riporta al fatto che, in realtà, di underground non ha nulla.

Un buon promoter è qualcuno in grado di promuovere gli artisti, e ciò non significa copiare il lavoro degli altri, finendo in un loop con gli stessi nomi, ancora e ancora – un meccanismo che alla fine si trasformerebbe in quello che chiamiamo hype. Noi deejay scaviamo tra i dischi; i promoter dovrebbero scavare ed esplorare tra gli artisti. Dovrebbero potenziare l’algoritmo, non esserne schiavi.

Anche il sistema delle “amicizie” negli ingaggi è fuorviante e danneggia enormemente l’industria e le scene di nicchia. Con un approccio troppo personale ed egoista ci si ritrova rapidamente intrappolati in un vuoto di noia e di risultati scontati, interferendo in un processo che altrimenti sarebbe naturale. Dovremmo tutti percepirlo in maniera più universale e in termini di comunità, per il bene della cultura. Per ora, vedo molto individualismo, molto potere in gioco, e questo non credo sia un segno positivo…

La musica ha il potere di evocare emozioni e trasmettere messaggi. Cosa speri la gente possa trarre dall’ascolto di The Edge Of Night? C’è un messaggio o un sentimento specifico che desideri trasmettere attraverso il tuo album?

Alcuni album sono stati per me fondamentali, un’immensa fonte d’ispirazione nella mia vita, un grande contributo alla mia creatività. Quando ci penso sono felice. Spero davvero che qualcun altro possa sentirsi così, ascoltando quest’album. Dovrebbe essere visto come uno strumento di ispirazione per gli altri, anche per le nuove generazioni; con la mia musica sento di poter dare qualcosa.

C’è anche tanta sofferenza dietro e non ho paura di nasconderlo, però mi piacerebbe trasmettere speranza e trascendere positivamente dalla mia sofferenza in qualcosa di bello.

D’altra parte, la musica e il suo processo per me sono molto terapeutici, mi aiutano a sentirmi bene e mi irradiano di energia gioiosa. Il risultato e come questo venga percepito dagli altri, non è la chiave di volta.

Infine, se dovessi descrivere la tua musica a qualcuno che non l’ha mai ascoltata, quali sono tre parole che useresti e perché?

Non la descriverei perché credo che la musica sia fatta per essere ascoltata, non raccontata.

Matthias in total look JIL SANDER

Art Direction & styling Gianluca Gagliardi
Photographer Paolo Barretta
Grooming Sara Guerrasio
Asst. Stylist Ornella Maglione

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