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Fashion

Grunge: la fugace sottocultura, l’eterna estetica.

words: Chiara Trimigliozzi

08.06

Grunge: la fugace sottocultura, l’eterna estetica.

Grunge: la fugace sottocultura, l’eterna estetica.

Sembra un paradosso, ma per la moda non c’è terreno più fertile da cui attingere che quello del vasto mondo dell’antimoda, tutto quello che sfida le rigide regole del sistema attrae a tal punto gli addetti al settore che finiscono per inglobarlo. Un fenomeno analogo lo si può riscontrare nella rivalutazione del brutto compiuta da Miuccia Prada, nell’ascesa del Normcore (all’epoca Fiona Duncan scriveva su The Cut che non riusciva più a capire se i suoi compagni di strada di Soho fossero dei creativi o dei turisti americani di mezza età) e ancora nel Grunge, sottocultura musicale dirompente nata in America nord-occidentale a metà degli anni ’80, trasformata in stile ed infine divenuta popolare tra le bacheche di Pinterest e Tumblr. Una sottocultura di breve durata, il Grunge, ma dalla quale è scaturito un fenomeno estetico che viene risemantizzato continuamente e supera la prova del tempo.

Siamo a metà anni ’80, in un’America afflitta da povertà e disoccupazione, l’ex attore Ronald Reagan è l’allora presidente e assistiamo a una rivoluzione culturale: agli hippie del decennio precedente, che proclamavano valori di pace e comunione con la natura, vanno a sostituirsi gli yuppies, giovani rampanti in cerca di ricchezza e successo. È proprio la ricerca di benessere e la brama di ricchezza che guida la società americana degli anni ’80, in un contesto di reale stato di precarietà e profonde disparità sociali.

Nella scena musicale il fenomeno è analogo, i look ricercati ed i testi spensierati dei gruppi Glam Rock non possono più essere percepiti come un riflesso delle tematiche contemporanee, ci troviamo davanti ad una generazione cinica, disillusa e nichilista: è in questo terreno che il Grunge affonda le sue radici. Nei dintorni di Seattle cominciano a formarsi delle band proto-grunge come i Melvins ed i Green River, le sonorità pesanti e distorte, che traggono ispirazione dal mondo punk ed heavy metal, si accostano a voci sofferenti e cariche di rabbia. La parola “grunge” – che letteralmente rimanda allo sporco – inizia gradualmente a diffondersi e così anche band di spessore iniziano a formarsi: i Soundgarden, i Nirvana, i Pearl Jam e gli Alice in Chains guidano questa transizione culturale e sonora fino a che, nel 1991, il Grunge raggiunge definitivamente il suo apice con la pubblicazione di album emblematici per la scena che contribuiscono ad un’esportazione globale del genere.

Kurt Cobain, Courtney-Love and Frances Bean-Cobain

Naomi Campbell and Kristen McMenamy Photographed by Steven-Meisel for Vogue, 1992

Come spesso avviene quando si parla di sottoculture, il Grunge inizia a sgretolarsi e ad appiattirsi con la sua stessa commercializzazione e con l’entrata nel mainstream: è il 1994 quando Smells Like Teen Spirit passa continuamente su MTV, il pezzo è una hit, gli ascolti raggiungono livelli esponenziali, lo stesso Kurt Cobain non va fiero della transizione culturale e smette di interpretare il brano ai concerti. La rabbia, il nichilismo, la matrice alternativa del genere, vengono completamente appiattiti: il grunge diventa un’immagine, un logo, una grafica che si concretizza nelle tee popolari acquistate non solo dai fan delle band.

Allo stesso tempo, questa trasformazione del genere musicale in estetica influenza il mondo della moda che negli anni ’90 è in una fase di grande cambiamento: dall’esuberanza liftata degli anni ’80 si tende verso la ricerca dell’imperfezione e del non finito. Il grunge rifiuta le convenzioni sociali, la ricchezza ostentata, il finto benessere e di conseguenza anche il sistema moda mainstream di quegli anni, con i suoi cicli capitalistici di consumo. I membri delle band più famose acquistavano i loro capi nei negozi dell’usato, classica la scelta dei jeans strappati, tee dall’aspetto logoro, camicie a quadri, maglioni informi e larghi, slip dress abbinati a calze a rete e Vans o Dr. Martens ai piedi. Kurt Cobain, figura simbolo della sottocultura, viene fotografato per le più grandi copertine indossando jeans e tee oversize. Nel 1993, per The Face, indossa un abito da donna vintage a fantasia floreale che sconvolge l’opinione pubblica, inconsapevole in quel momento che quelle immagini sarebbero diventate parte di svariate moodboard nei diversi uffici stile dei grandi brand.

Il momento in cui per la prima volta la moda si ispira esplicitamente al grunge arriva nel 1992: la collezione zero viene disegnata da Marc Jacobs per Perry Ellis, gli costa il licenziamento e numerose critiche dalla stampa (Cathy Horyn la definisce una collezione che mescola tutto insieme “A typical outfit looks as if it were put together with the eyes closed in a very dark room”), ma allo stesso tempo è una delle prime volte in cui lo streetwear irrompe in passerella e cambia i paradigmi di tutto quello che fino a quel momento era stato considerato attraente.

Marc Jacobs si ispira all’atmosfera emergente dei primi anni ’90, agli scatti di Juergen Teller e David Sims, alla generazione X, alle star di Hollywood come Julia Roberts e Juliette Lewis che indossavano abiti acquistati nei negozi vintage, creando così una collezione che sfida le regole del sistema moda: fa indossare alle supermodelle del calibro di Naomi Campbell, Carla Bruni e Kate Moss, delle camicie di flanella o t-shirt a righe oversize abbinate ad abiti in chiffon, Converse e Dr. Martens. Eppure la collezione non attira apprezzamenti neanche dalla sottocultura stessa alla quale si era ispirata (Cobain e la compagna Courtney Love infatti bruciano i samples ricevuti in regalo in segno di protesta), ma allo stesso tempo traccia una nuova linea di confine in cui il grunge entra ufficialmente a far parte come grande fonte di ispirazione del sistema moda.

Saint Laurent SS16

Sacai SS17

L’anno successivo è Anna Sui, per la Spring Summer ’93, a reinterpretare il Grunge in chiave romantica, mentre in occasione della Fall Winter 2013 e ancora per la Spring Summer 2016 menswear, è Hedi Slimane da Saint Laurent ad offrire la sua chiave di lettura, Chitose Abe per la Spring Summer 2017 di Sacai rende invece omaggio all’iconica grafica della t-shirt indossata svariate volte da Kurt Cobain “Hi, how are you” o Matthieu Blazy, che nel più recente fashion show per la Spring Summer 2023 di Bottega Veneta decide di far indossare all’icona dei 90s, Kate Moss, una camicia a quadri di flanella abbinata ad un denim chiaro oversize, ed ancora nell’approccio di brand emergenti come Chopova Lowena che incorporano i riferimenti grunge nella loro estetica.

Sacai SS17

“HI, HOW ARE YOU” t-shirt, Kurt Cobain

Il grunge è entrato a far parte di un fenomeno estetico globale che continua ad ispirare ancora oggi con riferimenti eterni (e forse anche pop) come Kate Moss negli scatti di Corinne Day, Winona Ryder, le gemelle Olsen e Chloè Sevigny; la retromania dei millennials e della Gen Z al contempo archivia, riesuma, riassembla e ripropone: abbiamo assistito più volte al ritorno dello stile grunge, i titoli sul web lo annunciano pressoché ogni anno, ma a compiere la prima rivoluzione in questo senso è stato Tumblr, nel 2013 circa.

Chiunque frequentasse il social in quegli anni può ricordare l’immaginario d’ispirazione grunge; oggi questa estetica viene riproposta, ancora una volta rivisitata, su Instagram e poi su TikTok, dove l’hashtag #grungeaesthetic raccoglie milioni di visualizzazioni ispirando le nuove generazioni.

Quella dell’assorbimento delle sottoculture da parte del mainstream non è una narrazione nuova, ma quanto effettivamente rimane dell’essenza di un movimento? Il grunge è soltanto ridotto ad un estetica o c’è ancora, anche se in maniera differente, un’adesione ai suoi valori? Qual è il ruolo del fashion system in questo processo di transizione?

Quello che è certo è che nell’infinito processo di risemantizzazione, tutto si evolve, si carica di nuove storie universali e personali che ci raccontano in modo sempre diverso la cultura delle giovani generazioni di ogni tempo.

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